Cosa ha detto davvero l’OMS su aspartame e cancro
Ha consigliato di moderarne l’uso, ma è molto difficile che un normale consumatore superi la dose massima giornaliera
di Beatrice Mautino ed Emanuele Menietti
Gentili lettori di Agriscienza, oggi vi suggeriamo un articolo pubblicato dalla testata online “Il Post” sul recente giudizio espresso dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) in merito al dolcificante aspartame. In particolare, i due autori, Mautino e Menietti, approfondiscono in modo originale e interessante il metodo di lavoro con cui l’agenzia sviluppa ed esprime le proprie valutazioni.
L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha consigliato di moderare il consumo di aspartame, un dolcificante ampiamente utilizzato nelle bibite “zero” o “light”, perché potrebbe essere una possibile causa di cancro. Il rischio è però molto basso per i normali consumatori di questa sostanza e ci sono ancora pareri discordanti sulle conclusioni della nuova valutazione, arrivata al termine di due distinti lavori di analisi che possono apparire in contraddizione tra loro. Secondo vari esperti, la confusione derivante dall’annuncio rischia di portare a incertezze non solo intorno all’aspartame, ma in generale al lavoro che viene svolto dalle autorità sanitarie per stimare la pericolosità delle sostanze con cui siamo di frequente in contatto.
Il primo rapporto citato dall’OMS è stato diffuso dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) che ha inserito l’aspartame nel “Gruppo 2B”, che comprende le sostanze “possibilmente cancerogene”. Fanno parte di questa classe circa 300 sostanze per le quali i risultati delle ricerche sono limitati negli esseri umani e meno che sufficienti negli animali. È un gruppo relativamente ampio e che comprende molti prodotti compresi i sottaceti, per esempio. Per lo IARC le sostanze certamente cancerogene finiscono invece nel “Gruppo 1”, dove sono disponibili dati più che sufficienti e solidi per dimostrare che una certa sostanza faccia aumentare inequivocabilmente l’insorgenza di un tumore. In questo gruppo sono compresi l’alcol (vino, birra e simili), gli insaccati, il fumo e l’amianto.
Gli scienziati che fanno parte della IARC non effettuano studi, ma analizzano tutte le ricerche esistenti condotte in giro per il mondo, da quelle realizzate sugli esseri umani esposti a una determinata sostanza a quelle sugli animali, ai quali vengono per esempio somministrate le sostanze per vedere che effetto fanno. Le ricerche vengono confrontate, i dati contenuti analizzati con metodi statistici e infine viene emesso un parere per la classificazione della sostanza.
La classificazione IARC, che prevede appunto vari gruppi, non indica quali sostanze sono “più” o “meno” cancerogene, ma semplicemente esprime quanto si è sicuri che una sostanza sia davvero cancerogena. Per le sostanze nel “Gruppo 1”, quello dell’alcol, la certezza è ormai consolidata, per quelle comprese nel “Gruppo 2A” il livello di certezza è minore, ancora meno per quelle nel “Gruppo 2B” come l’aspartame da poco inserito, e così via. Man mano che si accumulano nuovi studi e conoscenze le cose possono cambiare, con lo spostamento di alcune sostanze da un gruppo all’altro (difficilmente quelle comprese nel “Gruppo 1” saranno riclassificate, considerato il livello di certezza sui loro effetti).
Il secondo rapporto utilizzato dall’OMS è stato invece diffuso dal Comitato congiunto FAO/OMS di esperti sugli additivi alimentari (JECFA), che ha confermato quanto era già stato deciso in precedenza circa il consumo generalmente sicuro dell’aspartame a patto che non ne siano assunte quantità molto grandi. Questo secondo rapporto sembra essere in contraddizione con il primo, ma in realtà le differenze derivano dal fatto che le due istituzioni hanno diverse competenze.
Come abbiamo visto la IARC si occupa di valutare se una sostanza possa causare qualche danno, mentre il JECFA fa una valutazione del rischio sull’insorgenza del cancro in seguito all’assunzione di una determinata sostanza. La cancerogenicità è una caratteristica intrinseca: qualcosa è cancerogeno o non lo è. Al tempo stesso, non tutto ciò che è cancerogeno ha gli stessi effetti sul nostro organismo. Ogni sostanza cancerogena fa aumentare in una certa misura il rischio individuale di avere un certo tipo di tumore: alcune lo fanno aumentare di molto, altre di poco. Per esempio, nel caso delle bevande alcoliche non c’è un consumo minimo sicuro, ma gli effetti negativi possono essere di diversa entità: l’alcol è sicuramente pericoloso, ma se bevi un solo bicchiere di vino in tutta la vita, il rischio sarà irrilevante nello sviluppo di un tumore.
I responsabili dell’OMS che si sono occupati della nuova valutazione hanno chiarito che il consumo occasionale di aspartame, per esempio da parte di chi ogni tanto si beve una lattina di una bibita “zero”, non costituisce particolari preoccupazioni. Francesco Branca, direttore del Dipartimento per la nutrizione e la sicurezza alimentare dell’OMS, ha detto: “Non stiamo consigliando alle aziende di ritirare i loro prodotti né stiamo dicendo alle persone di interrompere il consumo e basta, stiamo solo consigliando un minimo di moderazione”.
Per numerose sostanze è possibile calcolare le dosi giornaliere di sicurezza, mentre per altre no, a prescindere dalla loro cancerogenicità. IARC non dà mai indicazioni sulle quantità, mentre JECFA ha confermato la precedente valutazione sulla dose massima giornaliera di 40 milligrammi di questa sostanza per ogni chilogrammo di massa corporea. Una persona che pesa 75 chilogrammi, per esempio, dovrebbe consumare circa 15 lattine di una bevanda “zero” o “light” per superare la dose massima. Qualche preoccupazione in più c’è per i bambini, considerata la loro minore massa corporea, ma anche in questo caso il consumo dovrebbe essere comunque di 4-5 lattine prima di superare la soglia.
È difficile stabilire quante persone consumino così tante bevande “zero” o altri alimenti che contengono aspartame nel corso di una giornata. È improbabile che il limite massimo sia raggiunto non solo con un consumo moderato di prodotti a base di aspartame, ma anche con uno più intenso. Quindici lattine equivalgono a quasi 5 litri di una bevanda con aspartame; inoltre, varie bibite contengono diversi altri dolcificanti, con dosi minime di aspartame quando presente.
La IARC ha basato le proprie conclusioni soprattutto su tre grandi studi osservazionali, effettuati cioè valutando comportamenti e reazioni di grandi gruppi di persone, che avevano indagato in passato la correlazione tra tumore al fegato e consumo di aspartame. Per quanto piuttosto estesi, quegli studi non avevano rilevato alcun nesso di causalità e per stessa ammissione dell’OMS quelle ricerche presentavano comunque vari problemi che rendevano poco affidabili le loro conclusioni.
A oggi non è nemmeno disponibile il lavoro finale della IARC sull’aspartame, che sarà pubblicato nei prossimi mesi. L’OMS ritiene che i nuovi sviluppi possano essere un’importante opportunità per effettuare nuovi studi e ricerche sull’aspartame e sui sostituti dello zucchero in generale, con nuove e più approfondite valutazioni sui loro eventuali rischi. La scelta di presentare i risultati parziali in questo modo ha però suscitato qualche perplessità tra gli addetti ai lavori, specialmente per la difficoltà nel comunicare il giusto messaggio sulle effettive conoscenze legate all’aspartame e al suo consumo entro i limiti consigliati, che di fatto già avviene per la maggior parte delle persone.