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Conoscere la disinformazione

La cattiva informazione è come le piante infestanti: se attecchisce diventa difficile liberarsene. Tra post-verità, leggende urbane e propaganda, purtroppo riesce sempre a trovare il modo di ritornare.

Purtroppo, la crisi del giornalismo legata all’avvento della rete e del “io mi informo online” ha fatto sì che l’ultimo baluardo che restava per una corretta informazione crollasse. Oggi le testate giornalistiche nella loro versione online sono spinte a pubblicare il maggior numero di articoli possibili per essere bene indicizzati dai motori di ricerca, spesso a discapito della verifica accurata dei fatti: troppo materiale, troppo poco tempo per controllare tutto.

Fake News

Nel 2017 il termine “fake news” è stato definito parola dell’anno dal Collins English Dictionary, vincendo a mani bassi contro l’altro contendente al trono, Echo Chamber. Entrambi i termini entrano così in maniera dirompente nel linguaggio comune senza però che la maggior parte della gente sappia esattamente a cosa si stia facendo riferimento. 

Molti traducono letteralmente il termine “fake news” credendo che siano riferite appunto alle notizie false in senso letterale, quelle che una volta in Italia chiamavamo semplicemente “bufale”, spesso sorridendo. Dalla terra piatta al falso allunaggio, dalle scie chimiche alla pareidolia, processo psichico consistente nella elaborazione fantastica di percezioni reali.

Purtroppo, quando nel 2017 “fake news” è stata definita “parola dell’anno” lo è stato proprio in quanto il termine aveva perso il suo connotato più leggero legato a bufale e leggende urbane ed era diventato il termine scelto per descrivere tutta quella disinformazione che da qualche anno aveva cominciato a circolare in rete.

Sempre nel 2017, però, il Consiglio d’Europa aveva pubblicato i risultati di un primo studio1 che analizzava nel dettaglio il problema. Fin dalle prime righe i ricercatori spiegavano che era ora di abbandonare la definizione troppo semplicistica di “fake news”:

“In this report, we refrain from using the term ‘fake news’, for two reasons. First, it is woefully inadequate to describe the complex phenomena of information pollution. The term has also begun to be appropriated by politicians around the world to describe news organizations whose coverage they find disagreeable. In this way, it’s becoming a mechanism by which the powerful can clamp down upon, restrict, undermine and circumvent the free press”.

Trad: “In questo rapporto, ci asteniamo dall’usare il termine “fake news”, per due motivi. In primo luogo, è deplorevolmente inadeguato descrivere i complessi fenomeni dell’inquinamento dell’informazione. Il termine ha iniziato a essere appropriato anche da parte dei politici di tutto il mondo per descrivere le testate giornalistiche la cui copertura essi trovano sgradevole. In questo modo, sta diventando un meccanismo attraverso il quale i potenti possono reprimere, limitare, indebolire ed eludere la stampa libera”.

Disturbo dell’informazione – Information disorder

Claire Wardle e Hossein Derakhshan, autori dello studio del 2017, hanno ritenuto che “Information disorder” fosse il termine più indicato per porre l’attenzione sul problema. Come se fosse una malattia, esistono i disturbi alimentari, dal 2017 esiste anche il disturbo dell’informazione e va affrontato in maniera scientifica, esattamente come si farebbe con una malattia. 

E guarda caso esistono già studi scientifici che ne parlano proprio come se fosse una malattia2:

Lo studio di Wardle e Derjhashan definisce come “disturbo dell’informazione” i molti modi in cui il nostro ambiente informativo è inquinato. I due studiosi dopo aver spiegato il perché il termine fake news non sia più sufficiente per definire il problema hanno cercato di creare una terminologia più adatta per catalogare i vari tipi di disturbo dell’informazione osservati. 

Pur esistendo in italiano solo la definizione di “disinformazione” abbiamo scelto di italianizzare anche le altre due che state per leggere, chissà mai che in un futuro non troppo distante entrino anch’esse a fare parte dei vocaboli riconosciuti. La seguente classificazione è importante anche perché fake news (notizie false) è troppo riduttivo, spesso oggi i contenuti condivisi che ricadono nell’information disorder non sono falsi, bensì veri, sfruttati però al di fuori del loro contesto, o magari omettendo delle informazioni. Questo viene fatto per difendersi dall’accusa d’aver condiviso fake news, se i dati sono corretti nessuno può lanciare quell’accusa.

Misinformazione

Informazioni non corrette, sbagliate o parziali, che però non vengono create o diffuse con il fine di fare un danno. Con questa definizione ci si riferisce sostanzialmente a errori, condivisioni o notizie date in buona fede, senza intenzioni malevole nei confronti dei protagonisti delle notizie o di quelli che potrebbero essere coinvolti o colpiti dalle informazioni. Un esempio perfetto parlando di misinformazione è quello dei giornalisti che riportano i risultati di uno studio scientifico senza avere le basi per capire di cosa stanno parlando. Questo si traduce spesso in articoli dai toni entusiastici che raccontano di scoperte di cui poi nessuno sente più parlare perché il giornalista non aveva capito nulla, magari dei limiti dello studio di cui stava facendo il riassunto per i propri lettori.

Disinformazione

Informazioni false, anche solo parzialmente, o faziose, raccontate mettendo in luce soltanto gli aspetti della vicenda che servono per i propri intenti, diffuse deliberatamente per danneggiare una persona, un gruppo, un’organizzazione o un paese. Qui invece siamo già nella malafede: chi sfrutta questo tipo di disturbo dell’informazione ha un’agenda, sa cosa vuol far credere al proprio pubblico e usa l’arma più semplice da riconoscere ovvero la menzogna. Spesso questo è il più facile disturbo da riconoscere, in quanto appunto si basa su omissione di fatti e creazione di contenuti fasulli, così facile che persino un algoritmo informatico potrebbe esser istruito a riconoscerla. 

Malinformazione

Informazioni vere diffuse appositamente allo scopo di provocare danni nei confronti di una persona, un gruppo, un’organizzazione o a volte anche un paese intero. Questa è la forma più subdola di disturbo dell’informazione. Partendo da verità magari raccontate solo in parte si riesce a colpire una larga fetta di pubblico. Inoltre, non presentando aspetti fasulli non può essere classificata come fake news (cosa che invece viene spesso fatta nei due casi precedenti). Inoltre, la malinformazione per come è realizzata supera anche i controlli di eventuali algoritmi, i fatti narrati di solito difatti sono corretti, è la visione complessiva a generare il disturbo dell’informazione grazie alle omissioni applicate.

Tutto l’information disorder ricade in queste definizioni. Imparare a riconoscere un caso dall’altro è importante per potersi prima di tutto difendere e poi per distinguere tra chi le diffonde in buona fede e chi, invece, ha una precisa agenda da seguire.

Note

[1]: Information Disorder Toward an interdisciplinary framework for research and policymaking By Claire Wardle, PhD and Hossein Derakhshan with research support from Anne Burns and Nic Dias https://rm.coe.int/information-disorder-report-version-august-2018/16808c9c77

[2]: Information disorder syndrome and its management – Nirmal Kandel

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