
Studio globale sul glifosate: cosa ci dicono davvero i dati scientifici
Il recente studio dell’Istituto Ramazzini ha riacceso il dibattito sul glifosate, portando risultati diversi rispetto a molte ricerche precedenti. In queste righe vediamo perché è importante valutare con attenzione i dati, le metodologie e il confronto con le evidenze scientifiche internazionali: tra limiti, punti critici e il parere delle principali agenzie governative
A giugno 2025, l’Istituto Ramazzini con altri autori ha pubblicato i risultati del suo “studio globale sul glifosate” in un articolo apparso sulla rivista Environmental Health (Panzacchi et al., Environ Health 2025; 24:36). I risultati sono poi stati ripresi da numerose organizzazioni non governative ambientaliste, gruppi di interesse, e da alcuni quotidiani o periodici, anche in Italia. Questo nuovo studio presenta risultati diversi da quelli di molti altri studi eseguiti in passato.
Questo articolo si pone sulla scia delle numerosissime pubblicazioni sul glifosate che sono state prodotte dopo l’attenzione creatasi nel 2015, quando IARC, sola fra tutte le agenzie governative, ha classificato il glifosate come “probabile cancerogeno per l’uomo” (gruppo 2A), mentre tutte le altre hanno ritenuto che non vi fosse evidenza al riguardo. Da allora, sono stati pubblicati centinaia di articoli che attribuivano al glifosate i più disparati effetti sulla salute, fra i quali immunotossicità, tossicità cardiovascolare, neurotossicità (vari effetti), tossicità per lo sviluppo e la riproduzione, epatotossicità, nefrotossicità, tossicità per la tiroide e altri effetti ormonali, effetti sul microbioma eccetera.
A mio avviso, vi sono due aspetti di questi studi su cui interrogarsi: il primo è che molti di essi sono basati su modelli in vitro e non su modelli animali; il secondo è che un composto, come il glifosate, che è scarsamente assorbito (circa il 20% dell’ingerito) e non metabolizzato, perché rapidamente escreto come tale, e non accumulato nell’organismo, possa causare così tanti effetti. Infatti, per esempio, il fatto che non sia metabolizzato indica che si tratta di una molecola poco, se non per nulla, reattiva e che quindi scarsamente interagisce con l’organismo.
Riguardo allo “studio globale sul glifosate” si devono notare alcuni punti, relativamente alla metodologia statistica, alla valutazione anatomo-patologica e al disegno sperimentale.
Dal punto di vista statistico, si evidenziano alcune incongruenze (in particolare nei test per eventi rari) ben illustrate nel sito https://www.thefirebreak.org/p/the-global-glyphosate-study-another. In questo articolo si sottolinea anche la mancanza di confronti con pubblicazioni che portano punti di vista opposti e la preferenza per la citazione di studi coerenti con le conclusioni sostenute dai ricercatori del Ramazzini.
Nel “materiale supplementare” dell’articolo del Ramazzini si trovano invece informazioni a sostegno della sicurezza del glifosate: per esempio, il fatto che la totalità delle neoplasie non differisce fra i ratti trattati e quelli di controllo (non trattati), oppure che, contro intuitivamente, l’incidenza di alcune neoplasie è più bassa negli animali trattati con la dose più alta, che è cento volte superiore alla dose più bassa.
Va notata anche la mancata omogeneità dei risultati negli animali trattati con glifosate tecnico, o con i due prodotti commerciali, l’uno in uso in Unione Europea, l’altro negli USA. Infatti, essendo state somministrate le stesse dosi dello stesso principio attivo, pur in formulazione diversa, gli animali hanno risposto in maniere diverse.
Inoltre, nello studio non si è osservato negli animali trattati un aumento dell’incidenza di linfomi, che sono le neoplasie oggetto di note cause contro l’azienda produttrice di glifosate.
Un altro punto importante di critica, sollevato da molti, alla pubblicazione dell’Istituto Ramazzini riguarda l’analisi istopatologica dei tessuti. L’istituto Ramazzini non esegue la “peer review” (revisione fra pari) dei preparati istologici. È stato evidenziato anche il fatto che gli autori hanno utilizzato i loro dati storici negli animali di controllo (ovvero non trattati con alcun composto) e che questi dati risalgono a molti anni (decenni) addietro. Gli enti regolamentatori (USA EPA, EFSA, EChA, FAO/WHO JMPR, etc.) si basano sui dati di controlli risalenti al massimo di cinque anni.
In conclusione, per dare una panoramica completa sulla molecola, è opportuno ricordare il parere sull’assenza di cancerogenicità del glifosate, espresso da tutte le agenzie regolamentatorie del mondo, e che, fra i molti principi attivi utilizzati in agricoltura, il glifosate è quello dotato di minore tossicità, come evidenzia il fatto che il limite di assunzione giornaliera (Dose Accettabile Giornaliera, DGA o Acceptable Daily Intake, ADI) fissato dalle varie agenzie regolamentatorie è fra i più elevati, se non il più elevato fra tutti i prodotti fitosanitari.