
Chimica e condizione femminile: il caso delle mondine
Oltre a rivoluzionare i sistemi di coltivazione, l’introduzione dei diserbanti chimici in agricoltura ha trasformato radicalmente la vita delle mondine, le lavoratrici stagionali impiegate nelle risaie italiane fino agli anni Cinquanta
di Silvano Fuso
Il presente articolo è basato in buona parte su un paragrafo del libro dell’autore: S. Fuso, Naturale=buono?, Carocci, Roma 2016
Nel 1977 Piero Angela (1928-2022) così scriveva:
[…] quando mi capita di partecipare a qualche dibattito sulla liberazione femminile, mi diverto a scandalizzare l’uditorio cominciando con una battuta in apparenza feroce e irriverente: «La liberazione della donna è un sottoprodotto del petrolio…» Questa frase suscita naturalmente subito reazioni diverse, a volte indignate. Però riesce ad «agganciare» chi ascolta, sia pure in modo provocatorio, su un concetto che a me pare fondamentale: e cioè che soltanto la disponibilità di energia (e di tecnologia, perché in definitiva anche l’energia è solo tecnologia, nel senso che è il risultato di una capacità di estrarre e utilizzare risorse) permette alla donna (e a chiunque altro) di uscire dal sottosviluppo, e di accedere a nuovi beni e a nuovi ruoli[1].
Il diserbo manuale del riso
Un caso particolarmente significativo di come il progresso scientifico-tecnologico possa contribuire in modo determinante al miglioramento della condizione femminile è quello delle mondine (o mondariso), lavoratrici stagionali utilizzate nella coltivazione del riso[2].
La seconda metà dell’Ottocento vide nella pianura padana un sensibile incremento demografico, con conseguente eccedenza di manodopera nelle comunità contadine. Al tempo stesso una forte crisi agraria determinò pesanti difficoltà alle stesse comunità. Questi due fattori determinarono un incremento di coloro che cercavano lavoro come braccianti. Questo fenomeno riguardò sia gli uomini che le donne e in certi casi il numero delle donne superava addirittura quello degli uomini. L’offerta di mano d’opera femminile risultava particolarmente vantaggiosa per i datori di lavoro poiché le donne potevano essere pagate meno degli uomini.
La monda del riso (ovvero l’asportazione manuale delle erbe infestanti dalle risaie) era un lavoro particolarmente adatto alle donne poiché non richiedeva particolare forza fisica. Moltissime donne trovarono pertanto occupazione in questo genere di attività, tra la fine dell’Ottocento e sino a oltre la metà del Novecento. Le risaie erano particolarmente diffuse in Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Di conseguenza molte giovani donne, di bassissima estrazione sociale e spesso analfabete, dovevano spostarsi dalla propria zona di origine per stabilirsi temporaneamente in altri luoghi. Il lavoro delle mondine era particolarmente duro. Le donne rimanevano per moltissime ore con le gambe immerse nell’acqua e la schiena curva. Il loro compito principale era quello di estirpare le erbe infestanti che crescono insieme al riso. Spesso però svolgevano anche altre mansioni, quali la spianatura del terreno, la semina e il trapianto del riso. Naturalmente tutte queste attività si svolgevano a mano. Le erbe estirpate durante la monda venivano raccolte nelle pieghe della gonna. Successivamente venivano accumulate ed essiccate al sole per essere poi utilizzate come foraggio per il bestiame.
Un duro lavoro
La monda si eseguiva per circa 40 giorni all’anno, durante il periodo di allagamento delle risaie, tra la fine di aprile agli inizi di giugno. A fine aprile la temperatura era ancora abbastanza bassa e le mondine, immerse nell’acqua fino al ginocchio e con braccia e mani sempre bagnate, soffrivano il freddo. Nei mesi estivi la temperatura saliva e la calura diventava spesso insopportabile. Le condizioni di lavoro erano durissime. Oltre al caldo, al freddo e la scomodissima posizione di lavoro, miasmi mefitici, insetti fastidiosi, alimentazione carente, alloggi temporanei scadenti e frequenti malattie rendevano la vita delle mondine un inferno.
L’abbigliamento delle mondine era finalizzato, per quanto possibile, a una protezione, sia pur sommaria, dalle dure condizioni di lavoro. Indossavano lunghe calze di filanca (con la parte del piede tagliata) che partivano dalla caviglia e terminavano a metà coscia. Le calze servivano a proteggere le gambe dagli insetti e dallo sfregamento provocato dal riso. Indossavano inoltre dei manicotti (maniot), ovvero dei tubi di stoffa chiusi con l’elastico al polso e al gomito, per proteggersi le braccia. Grossi cappelli a grandi falde e un fazzoletto tirato in avanti sul viso servivano a proteggersi dal Sole e per difendersi dalle zanzare. Indossavano infine una gonna con sopra un grembiule (fudlin). Una fettuccia intorno alla vita serviva a sorreggere il grembiule arrotolato.
L’orario di lavoro delle mondine era inizialmente di 10-12 ore al giorno. Frequentemente lavoravano donne in precarie condizioni di salute e anche quelle in gravidanza continuavano a lavorare fino a pochissimi giorni prima del parto. Spesso i bambini di pochi mesi venivano portati nei campi, talvolta accuditi da fratellini poco più grandi, per poter essere allattati dalle madri durante la pausa pranzo. Il pasto veniva consumato vicino alle risaie ed era costituito da cibi freddi e poveri.
Le mondine forestiere rappresentavano circa il 50% della manodopera. Esse erano alloggiate in cascine, talvolta appositamente costruite, oppure nei magazzini vuoti. Le “cascine da riso”, costituite da diversi edifici, comprendevano: l’abitazione del padrone, quella dei salariati e dei “bergamini” (addetti all’allevamento della vacche da latte), che abitavano stabilmente nella cascina. Erano poi presenti il pollaio, la porcilaia, i dormitori, le scuderie, i locali dove le mondine consumavano la cena, le stalle e i magazzini. Per l’igiene personale e per il bucato, le mondine utilizzavano l’acqua degli stessi canali che servivano ad alimentare le risaie. Il misero pasto di mezzogiorno veniva preparato, alle quattro del mattino, dalla padrona insieme alla capomondina, seguendo particolari tabelle. I tipici canti delle mondine, divenuti celebri, servivano principalmente ad alleviare la fatica del lavoro e a scandire il ritmo del lavoro stesso. Gli unici momenti di svago si avevano il sabato sera e la domenica, quando si organizzavano piccole feste e balli, nelle cascine stesse o nelle sale del paese vicino.
La misera paga delle mondine era in parte in denaro e in parte in riso che esse portavano a casa per la loro famiglia. Per molte giovani mondine, la monda era un’occasione per mettere da parte qualche soldo per il corredo in vista del matrimonio. Per il resto dell’anno le mondine trovavano occupazione in altri lavori agricoli precari e stagionali.
Le rivendicazioni sindacali
Nonostante avvenisse in un periodo di tempo periodo limitato, la monda del riso rappresentava un’esperienza di lavoro condivisa che fece maturare una forte solidarietà sociale e che condusse alle prime rivendicazioni sindacali e ai primi scioperi. Il primo sciopero delle mondine venne organizzato nel 1883 a Molinella (BO). Nel 1886 si ebbe un’altra astensione dal lavoro a Medicina (BO) che coinvolse 800 persone. Nello stesso luogo vi fu un altro sciopero, nel 1889. A Monselice (PD), nel 1890, venne organizzato un altro sciopero e negli scontri che ne derivarono vennero uccise tre donne e ferite gravemente altre dieci. Ancora a Molinella, nel 1897, vi fu una forte astensione dal lavoro che comportò un processo a 42 donne. Queste durissime lotte si conclusero nel 1912, quando finalmente le mondine riuscirono a ottenere una riduzione della giornata lavorativa a otto ore. Celeberrimi sono divenuti i canti delle mondine, spesso espressione del loro malessere e delle loro rivendicazioni sindacali.
L’epopea delle mondine attirò giustamente l’interesse di artisti e letterati. Nel 1877 Maria Antonietta Torriani (1840-1920), con lo pseudonimo di Marchesa Colombi, scrisse il romanzo In risaia, che descriveva le miserrime condizioni di lavoro e di vita delle mondine e contribuì a sollevare un dibattito sul lavoro femminile. Persino un autore come James Joyce (1882-1941) fu attratto dalla figura della mondina, che così descrisse intorno al 1913:
Una risaia vicino a Vercelli sotto una cremosa foschia estiva. Le spioventi ali del cappello ombreggiano il suo sorriso falso. Ombre rigano il suo volto falsamente sorridente, colpito dalla calda luce cremosa, ombre grigie color siero sotto le ossa della mascella, strisce di giallo torlo d’uovo sul ciglio inumidito, umore giallo rancido in agguato nella polpa morbida degli occhi. Un fiore donato da lei a mia figlia. Fragile dono, fragile donatrice, fragile bimba azzurrovenata[3].
Non si può infine non ricordare il celeberrimo film Riso amaro di Giuseppe De Santis, del 1949, in cui una splendida Silvana Mangano interpretava il ruolo di una mondina ferrarese, riuscendo a fornire uno spaccato, sia pure romanzato, delle condizioni di vita delle mondine della fine degli anni Quaranta (diverse mondine criticarono il film, che forniva un’immagine non corrispondente alla realtà delle risaie. In particolare, la Mangano che ballava il boogie woogie suscitò parecchie polemiche. Le vere mondine avevano ben altro a cui pensare).
Entrano in scena i diserbanti
L’epoca delle mondine, e con essa il terribile lavoro delle protagoniste, è finita grazie all’avvento dei diserbanti. Negli anni Cinquanta fecero la loro comparsa le prime macchine per le diverse pratiche di coltivazione del riso e cominciarono a essere sperimentati i primi diserbanti chimici. In meno di un decennio, le innovazioni tecnologiche modificarono radicalmente i sistemi di coltivazione di tutte le risaie, rendendo del tutto obsoleto il lavoro delle mondine. Fu la fine di un’epoca, ma anche delle paurose condizioni di vita di migliaia di donne.
Oggi qualche eco-nostalgico rimpiange l’epoca della coltivazione rigorosamente biologica (per necessità e non per scelta!) del riso che impegnava schiere di donne. A questi nostalgici si possono benissimo rivolgere le stesse parole che le mondine rivolgevano ai padroni nel loro celebre canto:
Se otto ore vi sembran poche
provate voi a lavorà
Se otto ore vi sembran poche
venite voi a lavorà
Ovviamente l’introduzione dei diserbanti non ha risolto tutti i problemi: un loro uso disinvolto può talvolta aver creato problemi. Oggi il livello di attenzione verso un uso razionale degli agrofarmaci è cresciuto e le quantità impiegate si sono notevolmente ridotte rispetto al passato. Alcuni problemi restano come, ad esempio, quello del riso “crodo”.
Si tratta di una pianta infestante, il cui aspetto è molto simile a quello del riso buono. La principale caratteristica del riso crodo è quella di avere le cariossidi (i chicchi di riso) che tendono a staccarsi dalla pannocchia e a cadere al suolo prima del periodo di raccolta del riso. La presenza di riso crodo nelle risaie comporta un consistente calo di produzione. È stato calcolato che la presenza di sole dieci piante di riso crodo per metro quadrato può provocare una perdita pari a un quarto del raccolto. Le piantine di riso crodo sono solitamente più alte di quello buono e il pericarpo assume spesso una colorazione rossastra. In certi casi, tuttavia, può non essere semplice riconoscerlo. I principali fattori che hanno contribuito alla diffusione di tale infestante sono stati l’aumento, a partire dai primi anni Novanta, della coltivazione di varietà di riso a lento sviluppo e con taglia meno elevata; l’impiego di sementi non sempre indenni dalla presenza di cariossidi di riso crodo; la diffusione della monocoltura assoluta che contraddistingue gran parte di questo settore agricolo. Le operazioni di diserbo prevedono interventi specifici per l’eliminazione del crodo. Tuttavia, il trattamento diserbante contro il crodo non è mai risolutivo e si assiste a una recrudescenza delle infestazioni, nella quasi totalità dei casi. Sono però stati proposti alcuni tipi di interventi colturali[4] che hanno ottenuto promettenti risultati.
Un approccio razionale
Queste difficoltà non dovrebbero tuttavia meravigliare. Ogni soluzione tecnologica crea inevitabilmente altre problematiche e non esiste mai una soluzione definitiva, priva di effetti collaterali. Occorre sempre effettuare un accurato bilancio costi/benefici e sforzarsi continuamente di fa progredire le nostre conoscenze per riuscire a risolvere al meglio le nostre esigenze. Questo implica la necessità di guardare avanti e non certo indietro. Tentare di riproporre vecchie metodologie e vecchi stili di vita, che hanno necessariamente fatto il loro tempo, non appare molto ragionevole.
Nel maggio 2014 l’Ente Nazionale Risi[5], con sede legale a Milano e sede operativa a Vercelli, ha pubblicato un bando di concorso in cui si leggeva:
L’Ente Nazionale Risi, per il proprio Centro Ricerche sul Riso di Castello d’Agogna (Mortara), ricerca personale stagionale a tempo determinato, eventualmente in possesso del diploma in agraria o, in alternativa, dell’esperienza nel campo risicolo, e della patente B, per attività stagionali di monda, epurazione, raccolta e selezione del riso da svolgere dal 4 agosto al 28 novembre 2014.
Diversi quotidiani parlarono di ritorno delle mondine. In realtà l’Ente ricercava manodopera qualificata per un centro di ricerca che custodisce migliaia di sementi delle varietà di riso, alcune molto antiche e che non si coltivano più. Il personale che veniva ricercato non aveva solamente il compito di eliminare le erbe infestanti, ma anche quello di selezionare le varietà con lo scopo di rinnovare la banca dati del germoplasma del centro. Quindi qualcosa di molto diverso dalle eroiche e sfortunate mondine di un tempo.
NOTE
[1] P. Angela, Nel buio degli anni luce. I meccanismi inceppati del processo. Un viaggio d’estrema attualità tra studiosi, economisti, scienziati alla ricerca di una via d’uscita, Garzanti, Milano 1977
[2] Minardi, La fatica delle donne. Storie di mondine, Ediesse, Roma 2006;
[3] J. Joyce, Fogli triestini. Giacomo Joyce, Pacini, Pisa 2007;
[4] Vidotto, A. Ferrero, M. Tabacchi, Lotta al riso crodo (Oryza sativa L. var. sylvatica) con la tecnica della falsa semina, “Atti Giornate fitopatologi che”, 369-374, 1998: https://www.giornatefitopatologiche.it/it/elenco/24/1998/lotta-al-riso-crodo-oryza-sativa-l-var-sylvatica-con-la-tecnica-della-falsa-semina/1912; A. Ferrero, F. Vidotto, P. Balsari, G. Airoldi, Mechanical and chemical control of red rice (Oryza sativa L. var. sylvatica) in rice (Oryza sativa L.) pre-planting, “Crop Protection” 18 (4), 245–251, 1999;
[5] https://www.enterisi.it/servizi/notizie/notizie_homepage.aspx.