IARC: cos’è e come opera

Al centro di polemiche dal 2015 per le posizioni assunte su glifosate prima e su carni rosse e lavorate poi, dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro è bene spiegarne attività, struttura e metodi di lavoro.

L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, in acronimo IARC, è una costola indipendente dell’OMS, ovvero l’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’idea di realizzare tale Agenzia nacque nei primi anni ’60 per volontà di alcuni personaggi pubblici francesi, i quali riuscirono a convincere l’allora presidente francese Charles de Gaulle a sostenere un progetto finalizzato alla lotta contro il cancro. Il progetto prese vita il 20 maggio 1965 tramite una risoluzione dell’Assemblea mondiale della Sanità. La IARC divenne quindi operativa in veste di agenzia specializzata per la lotta al cancro. La sede venne realizzata a Lione, in Francia, dotandosi di un proprio Consiglio direttivo i cui primi membri furono in rappresentanza dell’allora Repubblica Federale Tedesca, della Francia, dell’Italia, del Regno Unito e degli Stati Uniti d’America.

Il primo direttore della IARC fu John Higginson (1966-1981), seguito da Lorenzo Tomatis (1982-1993), Paul Kleihues (1994-2003), Peter Boyle (2004-2008), Christopher Wild (2009-2018) ed Elisabete Weiderpass (2019-oggi). Con il recente ingresso di Cina e Russia i membri della IARC sono cresciuti a 27 differenti paesi[1].

All’interno di IARC prendono vita molteplici attività di estremo valore e interesse. Spiccano, fra gli altri, i vasti programmi di indagine e di prevenzione, declinati su scala globale. A titolo di esempio possono essere citate la campagna per la diagnosi precoce del cancro alla vescica o al collo dell’utero. Infine, oltre alle attività di sorveglianza la IARC opera trasversalmente anche su argomenti connessi all’alimentazione e all’epidemiologia legata questa a fattori ambientali o agli stili di vita.

l’interesse di iarc per la chimica

Sempre operando in campo oncologico, la IARC si occupa di altri aspetti legati a specifiche attività, umane e non. Per esempio all’interno di IARC opera un gruppo di lavoro delegato a redigere specifiche monografie su diverse sostanze chimiche, agenti fisici e microbiologici, o attività lavorative e abitudini di vita che appaiano di un qualche interesse oncologico. Sono cioè reputati tali da necessitare una valutazione del loro pericolo intrinseco, ovvero del teorico potenziale di causare tumori. Tale attività di valutazione del potenziale cancerogeno dei vari agenti è poi riassunta in apposite monografie in cui i dati disponibili sono riportati e discussi, viene riportata la sintesi del processo valutativo, nonché il giudizio finale degli esperti chiamati a valutare le prove scientifiche esistenti sul tema. Queste, per una precisa scelta di IARC, possono essere accettate come valide dagli esperti solo se pubblicate su riviste scientifiche dotate di peer review, ovvero di revisione fra pari e in documenti di enti governativi o sovranazionali purché pubblicamente disponibili. Non vengono cioè valutate idonee le ricerche i cui risultati siano inclusi in estratti di convegni, oppure in report interni, cioè non disponibili pubblicamente, di enti, istituti e aziende, anche se di carattere pubblico. In ottemperanza a tale decisione non vengono quindi presi in esame nemmeno i dati che compongono i dossier tossicologici prodotti dalle industrie e messi a disposizione delle autorità nazionali o internazionali competenti per essere valutati ai fini dell’autorizzazione all’immissione in commercio e uso di specifiche sostanze attive, siano queste farmaci o agrofarmaci.

Ogni sostanza o agente valutato è classificato e incluso in uno dei diversi gruppi previsti, ovvero il Gruppo 1, 2 (suddiviso in 2A e 2B) e 3.

Il Gruppo 1 raccoglie i “sicuramente cancerogeni per l’uomo”, quelli per i quali esistano cioè solide prove epidemiologiche oltre a quelle di laboratorio relative al modello animale. Nel Gruppo 2A vengono invece inclusi gli agenti per i quali esistano evidenze su modello animale, ma prove epidemiologiche insufficienti per definire certo il potenziale cancerogeno della sostanza indagata. A seguire, nel Gruppo 2B, quello dei “possibili cancerogeni per l’uomo”, ricadono sostanze o agenti per i quali esistano esclusivamente delle evidenze di laboratorio su modello animale, meno convincenti rispetto al Gruppo 2A, e mancano le prove di carattere epidemiologico per l’uomo. Vi è, poi, il Gruppo 3 per il quale il potenziale cancerogeno non è valutabile e l’evidenza è trascurabile.

Attualmente nel Gruppo 1 sono incluse circa 120 diverse sostanze/agenti, come per esempio le radiazioni ionizzanti (raggi X e gamma), ma anche i raggi UV, quelli che permettono di sviluppare la cosiddetta “tintarella” estiva. Fra le sostanze chimiche si evidenzia invece il benzene, l’idrocarburo che ha sostituito il piombo come antidetonante nella benzina facendola passare da “rossa” a “verde”[2]. A seguire si trova il particolato atmosferico emesso da automobili e impianti di riscaldamento, poi l’amianto e i PCB, ovvero i bifenili policlorurati, sostanze utilizzate in passato soprattutto nei trasformatori elettrici. Anche fumo e alcol sono ovviamente in questo gruppo, come pure il Papilloma virus e i virus dell’epatite B e C. Se li si contrae, infatti, si corre un rischio concreto di sviluppare in seguito tumori negli organi colpiti dall’infezione. Per quanto possa apparire sorprendente, perfino un chemioterapico antitumorale come la ciclofosfamide è nel Gruppo 1.

Delusione forse per chi ama le grigliate, poiché il loro bruciaticcio contiene benzopirene, una sostanza sicuramente cancerogena appartenente alla famiglia chimica degli idrocarburi policiclici aromatici e che si origina dalla combustione incompleta della sostanza organica. Altre brutte notizie per i golosi vengono poi dai fritti, nei quali si trova acrilamide, originata dalle elevate temperature di cottura in olio. Ma le sorprese non finiscono qui. Nel Gruppo 1 IARC sono riportate anche le foglie di Betel, molto consumate in Asia, senza dimenticare le aflatossine che contaminano alcuni prodotti agricoli, specialmente se non vengono trattati con opportuni fungicidi e insetticidi.

Interessante anche l’analisi del Gruppo 2A dei “probabili cancerogeni per l’uomo”, quello in cui sono presenti circa 80 sostanze/agenti. Ed è fra questi che nel 2015 il gruppo di lavoro lionese ha inserito anche l’erbicida glifosate. Al fianco di questo diserbante risultano poi presenti le carni rosse al pari degli ormoni anabolizzanti, come pure alcuni solventi e una folta rappresentanza di PAH, cioè gli idrocarburi policiclici aromatici parenti del succitato benzopirene. Sempre nel gruppo 2A si trovano anche alcuni composti a base di piombo e persino un chemioterapico antitumorale, ovvero il cisplatino. Potrebbe infine fare sorridere la presenza in questo gruppo dell’acqua calda o, meglio, di bevande che quando ingerite a temperature superiori a 65°C pare favoriscano la comparsa di neoplasie di esofago e stomaco come conseguenza delle lesioni che l’elevata temperatura causa sulle mucose di esofago e stomaco.

Come si vede, tale classificazione, solamente qualitativa – che non tiene cioè conto né del meccanismo né della potenza – impedisce la valutazione dei rischi derivanti da un ben preciso agente o da una sostanza attiva. Infatti la valutazione del rischio deve essere quantitativa e deve tenere conto di una molteplicità di parametri, soprattutto in relazione alla potenza e all’entità dell’esposizione reale di un essere umano. Non a caso, in Italia, molti di coloro che acclamarono la IARC dopo l’inclusione nel Gruppo 2A di glifosate ebbero poi a protestare per l’inclusione nello stesso gruppo delle carni rosse. Peggio ancora fu per l’inclusione nel Gruppo 1 delle carni lavorate dal momento che molte di queste, insieme a molte carni rosse, sono prodotti di qualità, fiori all’occhiello dell’agroalimentare italiano. Quindi da difendere a ogni costo agli occhi dei consumatori.

Purtroppo, la scarsa padronanza dei criteri procedurali di IARC fece sì che l’erbicida venisse bollato frettolosamente dall’opinione pubblica come cancerogeno, senza nemmeno il “probabile”, mentre per le carni e gli insaccati si concatenarono lunghe serie di argomentazioni per le quali tale giudizio sarebbe stato ingiusto e spropositato; segnalando che, comunque, se ne mangiamo con moderazione non vi è rischio di sviluppare il cancro. Ciò è anche dovuto al fatto che a livello popolare, e non solo, non v’è sufficiente contezza delle differenze fra i concetti di “rischio” e di “pericolo”.

A conferma, valgano le parole di Aaron Blair, chairman del gruppo di ricercatori che trattò glifosate per la IARC. Anche lo scienziato americano, intervistato sul tema, confermò come l’Agenzia effettui valutazioni di “pericolo”, non di “rischio”. Circa la differenza di significato tra i due termini Blair ricordò infatti che la valutazione del pericolo risponde solo a una semplice domanda: “Può una sostanza causare danno in qualche circostanza, ad un certo livello di esposizione?“. Quanto frequentemente tali circostanze si verifichino nel mondo reale è invece una questione completamente diversa e non è domanda cui la IARC intende rispondere, né tantomeno ha il ruolo per farlo. In altre parole, concluse lo stesso Aaron Blair, la IARC avrebbe affermato che glifosate “potrebbe” causare il cancro negli esseri umani, ma non può affermare che lo faccia o lo abbia fatto davvero.

Al contrario, le Autorità di regolamentazione operano specifiche valutazioni dei “rischi”, non dei “pericoli”. E al termine di tale processo non v’è stata agenzia o autorità mondiale che non abbia concluso che no, glifosate non è da considerare un “probabile cancerogeno”. E IARC, è bene ricordarlo, non è un’autorità di regolamentazione. Al contempo, perfino l’OMS stessa ha ritenuto del tutto improbabile che glifosate possa contribuire alla cancerogenesi. Un insieme di giudizi opposti a quello di IARC, che, purtroppo, non sono mai stati considerati né dalla stampa generalista, né dalla politica italiana ed eurocomunitaria, con conseguente disinformazione della popolazione.

NOTE

[1] Australia, Austria, Belgio, Brasile, Canada, Cina, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, India, Iran, Irlanda, Italia, Japan, Marocco, Olanda, Norvegia, Qatar, Korea del Sud, Russia, Spagna, Svezia, Svizzera, Inghilterra e Stati Uniti d’America.

[2] La concentrazione di benzene non è mai stata superiore al 3%. Negli ultimi 20 anni, circa, la concentrazione di benzene non è superiore all’1%.

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