agrifake-agriscienza-glifosate

La disinformazione fa male – glifosate

Glifosate

Nel 2015 sentii per la prima volta il nome “glifosate”, non che ci fosse da sorprendersi, nella vita non mi occupo di agricoltura e coltivazioni, era normale non conoscessi il nome di uno dei diserbanti più usati. La ragione per cui per la prima volta sentivo quel nome era data dal fatto che alcuni soggetti condividevano in rete (e sui media tradizionali) i risultati di quello che definivano un nuovo studio scientifico. Studio che sosteneva che glifosate fosse causa di celiachia.

Avevo più di un amico celiaco che chiedeva alla redazione del nostro blog circa la corretta informazione sul tema e su quanto ci fosse di vero nei post e negli articoli che stavano cominciando a circolare in Italia.

Insieme al dottor Pietro Arina ci siamo messi ad analizzare le fonti della notizia partendo da colei che stava tenendo conferenze a sostegno di questa correlazione, Stephanie Seneff, che era anche l’autrice dello studio a sostegno di questo legame.

Stephanie Seneff è una laureata in biofisica con un Ph.D in ingegneria elettronica, conseguiti rispettivamente nel 1969 e nel 1985. Dal 2011 in poi, dopo aver lavorato come ingegnere elettronico ed esperta informatica per tutta la vita, Seneff ha cambiato completamente ambito operativo e in quattro anni aveva pubblicato una dozzina di studi (di cui sette come autore principale) dove collegava lo sviluppo di malattie come Celiachia, Alzheimer e autismo a deficienze nutrizionali o prodotti chimici usati nella coltivazione. Da esperta informatica era diventata un’attivista ambientale.

Attivista ambientale con uno specifico nemico: glifosate, causa secondo lei di celiachia, autismo nei bambini e in certe conferenze sosteneva fosse anche responsabile del Morbo di Alzheimer.

Ma, come riportato su Science Based Medicine1:

“La dottoressa Seneff dà tutte le indicazioni di essere un’attivista anti-OGM. Non è una biologa, ma piuttosto una scienziata informatica, eppure viene presentata come un’esperta. Inoltre, non ha condotto alcuna ricerca originale, ma sta diffondendo paure su glifosate basate su pura speculazione, cattiva scienza e cattiva logica. 

 

Nel frattempo, numerose revisioni sistematiche pubblicate mostrano prove evidenti che glifosate ha una tossicità molto bassa. La scienza è complicata ed è sempre una buona idea considerare fattori che potrebbero essere stati precedentemente tralasciati. Tuttavia, la mancata dimostrazione di alcun effetto avverso di glifosate negli studi epidemiologici è molto rassicurante. Dato il suo uso diffuso, qualsiasi effetto negativo deve essere minimo o inesistente per non essere rilevato dalle prove che abbiamo finora.”.

Lo stesso autore dell’articolo su Science Based Medicine concludeva il suo articolo spiegando che a poco serviva il suo fact checking, prevedendo che gli attivisti anti-OGM, contrari anche ai pesticidi, dei fatti se ne sarebbero infischiati e avrebbero fatto largo uso del cherry picking per sfruttare quanto riportato dalla Dottoressa Seneff e demonizzare glifosate agli occhi dell’opinione pubblica. Mai previsione fu più azzeccata.

Nel giro di poco tempo un po’ ovunque si vedono articoli che, senza prove o basi scientifiche, attaccano glifosate accusandolo delle peggiori nefandezze. In Italia, ad esempio, vengono condivise le foto di Pablo Ernesto Piovano, fotografo ambientalista autore del libro “The Human cost of Agrotoxins” dove, tra le altre, condivide immagini di bambini che soffrono di malattie per lo più incurabili. Queste foto, come da titolo del suo libro, sarebbero prova dei danni causati da pesticidi ed erbicidi usati in agricoltura. Ma nelle foto di Piovano si vedono diverse patologie, impossibile farle risalire tutte alla stessa causa. E difatti Piovano titola il suo libro contro le tossine usate nelle coltivazioni ma poi non porta prove a sostegno della sua tesi. Ma le foto dei bimbi con i corpi martoriati da piaghe e altro ovviamente servono benissimo allo scopo. Andando però a fondo per quelle patologie si scopre come sia molto più probabile che siano derivate da cattive condizioni igieniche e non dall’uso di glifosate.

Nel 2016 anche alcune trasmissioni televisive di rilevanza nazionale parlano di glifosate e lo fanno usando un trucco a noi noto, il giornalismo a tesi. Si parte da un titolo e su quello si confeziona il servizio. Il titolo del 2016 scelto era senz’ombra di dubbio decisamente impattante:

 

L’erbicida che avvelena tutto il mondo.

La trasmissione che titolava così è stata vista in prima serata da oltre 1 milione di telespettatori, il video condiviso sui social continua ad esser condiviso e diffuso un po’ ovunque e ha probabilmente raggiunto decine di milioni di spettatori. Nel servizio viene solo mostrato chi sostiene con certezza l’assoluta nocività di glifosate. Non viene mai presa in considerazione l’ipotesi che non sia dannoso.

Il servizio tv (e altri che l’hanno seguito a ruota) partiva dal fatto che la IARC aveva appena inserito glifosate nel gruppo 2A2 degli agenti cancerogeni, il gruppo che include gli agenti che sono probabilmente cancerogeni per l’uomo.

IARC con quell’inserimento non sta dicendo che glifosate sia cancerogeno, ma solo che esistono sufficienti prove per dire che potrebbe esserlo, ma non abbastanza per dire che lo è. Ed è giusto che IARC faccia quella specifica. Come l’ha fatta per altri possibili agenti cancerogeni, tra cui le bevande più calde di 65°, il mestiere del parrucchiere o barbiere, fare turni di lavoro che interrompano il ciclo circadiano, lavorare il bitume. Eppure, non ci sono state campagne contro i parrucchieri o i caffè espresso. E dire che in Italia ci teniamo ad avere i capelli a posto e siamo grossi consumatori di caffè. Nel frattempo, la questione “glifosate cancerogeno” veniva trattata anche su prestigiose testate come il New Yorker3, dove il giornalista Michael Specter tentava di spiegare ai propri lettori le stesse cose che in Europa facevano alcuni fact checker:

“Decine di studi sono stati condotti negli ultimi quarant’anni e non hanno trovato alcuna connessione tra glifosate e cancro. Il suo utilizzo è stato approvato dalle agenzie di regolamentazione, inclusa l’Agenzia per la protezione ambientale, in tutto il mondo.”.

Purtroppo, la visibilità del New Yorker in Italia è zero, solo nicchie di lettori approfondiscono certi temi leggendo giornalisti stranieri, la maggioranza si fida di quanto viene riportato dai media nazionali. Dai gruppi di ambientalisti preoccupati la questione si sposta ad altri gruppi operativi sul nostro territorio. Quelli legate alla difesa del prodotto nazionale che vedono di cattivo occhio qualsiasi importazione dall’estero. Quale sistema migliore per spaventare il cittadino se non sostenere che il grano che arriva da fuori del nostro Paese è tutto contaminato da glifosate? Oltretutto, basta guardare i titoli degli articoli appena usciti e redatti qualche giorno dopo per evitare denunce, uno fra i tanti:  

 

È ufficiale: il glifosato contenuto nella pasta provoca la Sla e il morbo di Alzheimer4

Rivisto dopo che tanti hanno evidenziato i limiti del suddetto studio5 con una piccola aggiunta (ma senza nessuna scusa):

È ufficiale: uno studio di un’università americana dice che il glifosato provoca la Sla e il morbo di Alzheimer6

Gli autori dello studio a cui fa riferimento il titolo sono sempre gli stessi Stephanie Seneff e Anthony Samsel, la rivista su cui pubblicano lo studio rientra tra quelle ritenute predatory publishing. Ma chi cavalca questi studi evita attentamente di spiegare ai propri lettori e spettatori queste cose, il giornalismo a tesi è fatto proprio così.

Il 19 ottobre 2017 su Reuters appare un’inchiesta dal titolo:

Nella revisione del glifosato, l’agenzia oncologica dell’OMS ha modificato i risultati “non cancerogeni”

In Italia, ma anche in altri paesi europei, pochi la riprendono eppure è un’inchiesta importante. Reuters accusa IARC di aver fatto cherry picking, o meglio, come spiegavano nell’articolo i giornalisti di Reuters, hanno trovato dieci modifiche tra il testo della bozza dello IARC e quello che poi fu effettivamente pubblicato. Le dieci modifiche riguardavano tutte studi che concludevano contro l’ipotesi che glifosate fosse un probabile cancerogeno per gli esseri umani.

IARC ha sempre evitato qualsivoglia commento in merito e la classificazione da loro scelta non è mai stata modificata. Da allora però sono stati fatti ulteriori studi e cinque anni dopo si può ancora sostenere che, ad oggi, non esiste prova che glifosate sia dannoso per gli esseri umani.

Ancora, il 30 maggio 2022 il Comitato per la Valutazione dei rischi dell’Agenzia Europea delle sostanze chimiche7, sulla base di un’ampia revisione delle prove scientifiche ha concluso, ancora una volta, che la classificazione di glifosate come cancerogeno non sia giustificata. Purtroppo, anche quest’informazione è stata trasmessa solo da pochi media, la maggior parte dei quali continua a demonizzare l’erbicida, senza supporto scientifico, ma con ampio supporto da parte dell’opinione pubblica, ormai convinta della sua pericolosità.

Infine, nel novembre 2023 diverse testate, tra cui anche alcune serie e attendibili, riportano i risultati del Global Glyphosate Study8, un gruppo di lavoro coordinato dall’Istituto Ramazzini di Bologna focalizzato sulla ricerca dei potenziali effetti negativi del glifosate. Secondo lo studio, ci sarebbe un legame tra l’erbicida e la comparsa di leucemie. Quanto ripreso è però attualmente un lavoro in preprint, che quindi non ha ancora ricevuto alcuna revisione da parte di altri scienziati imparziali o esterni all’Istituto.

Esiste in compenso uno studio pubblicato nel 2018, realizzato dall’Istituto dei tumori americano, che nelle sue conclusioni spiega:


“…in questo ampio studio prospettico di coorte, non era evidente alcuna associazione tra il glifosato e qualsiasi tumore solido o tumore maligno linfoide in generale, incluso il NHL e i suoi sottotipi. Sono emerse alcune prove di un aumento del rischio di leucemia mieloide acuta nel gruppo più esposto che richiedono conferma.”

Gli scienziati non hanno dunque trovato prove che collegassero un’esposizione normale al glifosate a eventuali tumori. Sarà senza dubbio opportuno procedere con l’analisi portata avanti dal Global Glyphosate Study, ma anche attendere che i dati abbiano passato la revisione dei pari e, magari, confrontarli con gli studi precedenti per verificare di quali dosaggi si stia parlando e come mai vi siano pareri discordi sulla materia.

Quello del glifosate non è il primo caso in cui il parere dell’opinione pubblica (spinta da determinati soggetti manipolanti) ha portato a bandire una sostanza sostenendone la nocività. Anche questo è disturbo dell’informazione.

type to search