La disinformazione fa male – ogm

OGM

Una case history ad alto valore simbolico in una serie di articoli dedicati all’information disorder in campo agroalimentare è quella legata agli OGM, ovvero gli Organismi Geneticamente Modificati. La disinformazione dilagata su di essi è forse quella che ci portiamo dietro da più tempo, anche grazie a una scarsa cultura scientifica e tanto sensazionalismo, come pure alla poca voglia di approfondire da parte del pubblico.

Basta fare una veloce ricerca online per scoprire, ad esempio, che già cercando il semplice termine OGM, Google propone, tra le ricerche fatte dagli altri utenti, la domanda: “Perché gli OGM sono dannosi?” E subito sotto compare il link a un articolo che titola: “Cinque ragioni per cui coltivare OGM è pericoloso[1]”.  Ancora, già nel 2010, circa gli OGM furono assunte posizioni fortemente contrarie persino nell’ambito dell’associazionismo agricolo[2], bollando di mero approccio ideologico coloro che premevano per la libertà di coltivare OGM, nonostante l’opinione pubblica si stesse esprimendo in modo negativo. Una delle remore da parte di alcune componenti del mondo agricolo era infatti che l’autorizzazione alla coltivazione in Italia degli OGM avrebbe potuto scontrarsi con il diritto degli agricoltori a mantenere le proprie coltivazioni OGM-free. Va da sé che l’opinione pubblica era giocoforza in apprensione verso gli OGM proprio grazie alla fitta disinformazione diffusa sul tema. Un loop in qualche misura perverso in cui la disinformazione alimentava sé stessa.

A conferma di ciò, come spiegava già nel 2015 Elena Cattaneo intervistata da Linkiesta[3]:
“Ci sono leggende su cui la politica, i media e il marketing della grande distribuzione hanno giocato per suscitare reazioni istintive avverse nei consumatori, alimentando una grande bugia secondo cui gli OGM sarebbero pericolosi per la salute dell’uomo.”

La battaglia combattuta contro gli OGM potremmo dire che ricade in due generi di disturbo dell’informazione: da un lato abbiamo una stampa generalista tendenzialmente sguarnita di specifiche conoscenze per poter parlare dell’argomento in modo razionale, prediligendo spesso il facile sensazionalismo senza approfondire in maniera seria la tematica. Così facendo si generano e si moltiplicano misinformazione e disinformazione, talvolta in buona fede, ma il più delle volte basate su ignoranza e omissioni. Ma abbiamo anche un fronte molto più agguerrito e deliberatamente schierato che negli anni ha fatto sistematica mala informazione che è quella che impatta di più il consumatore finale.

Factor GMO

Ad esempio, si potrebbe parlare dello studio chiamato “Factor GMO” che fu lanciato nel 2014 con grandissima eco mediatica. Se ne erano occupate le testate di tutto il mondo che avevano raccontato l’inizio del progetto, progetto che doveva studiare le correlazioni tra le colture OGM e la sicurezza alimentare. Le attività dovevano avere la supervisione, tra gli altri, di Fiorella Belpoggi dall’Istituto Ramazzini di Bologna. Il progetto, sulla carta, veniva presentato come super partes prefiggendosi di analizzare gli effetti di un’alimentazione OGM su seimila ratti.  Ma basta andare a cercare i nomi dei vari ricercatori che erano stati selezionati per l’opera per accorgersi che su di essi gravavano grossi bias contro gli OGM. Ad esempio, Bruce Blumberg dell’Università della California nel presentare il progetto ai microfoni di Reuters riportava:

“Gli studi condotti dai produttori sono i principali che mostrano la sicurezza e quelli hanno un conflitto di interessi intrinseco.”
Nonostante questi palesi pregiudizi, Blumberg fu tra gli scienziati scelti per il gruppo di lavoro del progetto “Factor GMO”. Il progetto partiva con finanziamenti russi e l’ultima conferenza stampa[4] risale a 8 anni e 25 milioni di dollari fa, eppure di risultati che dimostrassero la nocività degli OGM in otto anni non ne è stato presentato nemmeno uno.

Lo studio di Gilles Séralini

Durante la conferenza stampa di presentazione del progetto furono usate slides provenienti dal famoso studio francese di Gilles Séralini che era stato usato nel 2012 come dimostrazione della “sicura” nocività degli alimenti OGM. Lo studio era stato smentito anche dall’EFSA, ovvero l’ente europeo per la sicurezza alimentare[5] che nello smontare lo studio riportava:

“Gravi vizi di progettazione e metodologia nello studio Séralini et al. comportano che esso non soddisfi standard scientifici accettabili e che non ci sia necessità di riesaminare le precedenti valutazioni sulla sicurezza del mais geneticamente modificato NK603.”

Da quello studio e dalle sue smentite sono passati dieci anni, eppure qualcuno convinto che esistano studi che dimostrano sopra ogni dubbio che le sementi OGM sono pericolose per il consumo e per l’ambiente lo si trova sempre. A volte si tratta di vittime della disinformazione, a volte di soggetti che hanno specifici interessi e per i quali gli OGM sono quindi percepiti come potenziali concorrenti commerciali.

La paura viene, infatti, sfruttata a piene mani quando si tratta di disinformare: è proprio grazie alla paura che si riescono a convincere persone che nulla sanno di una determinata materia e non hanno i riferimenti scientifici per approfondire.

La paura

Una delle paure più ricorrenti nei confronti degli OGM è quella legata alla possibile insorgenza di allergie. Questi timori devono la loro principale origine soprattutto a un evento risalente a molti anni fa, legato a una società farmaceutica giapponese, la Showa Denko, la quale aveva messo a punto un batterio geneticamente modificato in grado di sintetizzare dosi elevate di un aminoacido, il triptofano. Questa molecola trova il suo uso come integratore alimentare, ma in farmacopea anche come antidepressivo. Nel 1989, negli Stati Uniti, questo integratore uccise 37 persone ledendo gravemente la salute di altre 1.500 circa. La causa venne chiamata “sindrome eosinofilia-mialgia” (EMS)[6], conosciuta anche prima del 1989, la quale induce una sovrapproduzione di globuli bianchi e in alcuni casi paralisi. L’agente nocivo fu individuato in una tossina prodotta dal batterio e che non era stata adeguatamente purificata. Lunga fu la discussione se fosse una lacuna nel processo di purificazione, o se la patologia fosse dovuta alla specificità della tossina, in quanto proveniente da batterio GM. I pareri della Food and Drug Administration statunitense furono in tal senso sempre a favore della tesi innocentista: la tossina non era legata al fatto che il batterio fosse geneticamente modificato. Un tipico caso quindi di “correlation is not causation”, ovvero: una correlazione non implica necessariamente la causa.

Conclusioni

La disinformazione sul tema OGM è causata da un mix tra malinformation e misinformation. Prima viene la disinformazione in malafede completamente deliberata che mette in circolazione testi fatti apposta per far leva sulle paure del pubblico finale, a cui segue la disinformazione in buona fede di giornalisti che rilanciano le stesse notizie perché non hanno le basi scientifiche per giudicare il valore degli studi e articoli di partenza.

Solo un miglioramento della cultura scientifica potrebbe risolvere il problema, con l’auspicio che il settore, purtroppo in crisi da anni, trovi le forze per investire in quest’area così importante per tutti noi.

Note

[1]: LIFEGATE del 9 aprile 2014 a cura di Rudi Bressa, giornalista ambientale e scientifico: https://www.lifegate.it/5-impatti-ambientali-degli-ogm

[3]: Lidia Baratta – Intervista a Elena Cattaneo “Perché gli OGM fanno paura?” 11 ottobre 2015: https://www.linkiesta.it/2015/10/perche-gli-ogm-fanno-paura/
[4]: Press Conference Factor GMO: http://factorgmo.com/press-conference/
[5]: 28 novembre 2012 – “Non suffragate dai dati le conclusioni dello studio Seralini et al., afferma la comunità dei valutatori del rischio dell’Unione europea”: https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/121128
[6]: Mayeno AN, Gleich GJ. (1994): “Eosinophilia-myalgia syndrome and tryptophan production: A cautionary tale”. Trends Biotechnol. 1994; 12:346-52.
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