La genetica vegetale e la lotta alla siccità
Per fronteggiare la crisi climatica, le piante hanno bisogno di una maggiore resistenza alla siccità. Nel corso degli anni, la ricerca scientifica ha adottato diverse strategie, grazie anche all’aiuto delle moderne tecnologie di editing genetico
La resistenza alla siccità è uno degli obiettivi inseguiti con maggior determinazione dai genetisti vegetali. Una soluzione a portata di mano ancora non c’è ma il bilancio di tanti anni di ricerca è che esistono diversi percorsi che vale la pena continuare a esplorare. Se fosse possibile riassumere questo sforzo in un semplice slogan, le parole d’ordine sarebbero tre: testare, testare, testare.
La prima considerazione da fare è che le piante possono adottare diverse strategie per sopravvivere quando l’acqua scarseggia. Nel gergo tecnico si può distinguere tra resistenza alla siccità ed efficienza nell’uso delle risorse idriche. Oppure si può andare per il sottile parlando di “drought avoidance” (evitamento della siccità), “drought escape” (fuga dalla siccità) e “drought tolerance” (capacità di sopportazione dello stress idrico).
Un’altra premessa fondamentale è che la siccità può variare per intensità e durata, cosicché una pianta capace di tollerare uno stress moderato può soccombere comunque in condizioni più estreme. A complicare ulteriormente le cose c’è il fatto che, per essere adottate dagli agricoltori, le future varietà dovranno dimostrarsi non solo più resilienti ma anche altrettanto produttive delle varietà che vogliono sostituire.
All’Università di Milano si perseguono due strategie con l’aiuto della tecnica di editing genetico CRISPR. La prima ricade nella tipologia dell’avoidance e mira a ridurre la traspirazione socchiudendo gli stomi, ovvero i pori che sono presenti sulla superficie delle foglie e sono adibiti agli scambi gassosi. La seconda punta ad anticipare la fioritura, per fruttificare prima dell’arrivo dei mesi più secchi, ed è considerata una forma di escape. Lucio Conti è coinvolto in entrambi i filoni e gli abbiamo chiesto di fare il punto sullo stato dell’arte. “La storia della nostra ricerca sulla regolazione degli stomi nasce molti anni fa da studi eseguiti sulla pianta modello Arabidopsis thaliana e ora prosegue sul pomodoro nell’ambito del Progetto Biotech finanziato dal Ministero dell’agricoltura”, ci dice Conti. I ricercatori diretti da Chiara Tonelli avevano identificato un fattore di trascrizione espresso nella coppia di cellule che regolano l’apertura degli stomi ma non nelle altre parti della pianta. Dunque, avevano buone ragioni per sperare che reprimendolo non si sarebbero verificate interferenze con altri processi fisiologici.
“Il gene si chiama MYB60 ed è un bersaglio interessante perché, quando viene inattivato con una mutazione, la pianta traspira meno, risparmia acqua e può resistere meglio in condizioni di siccità”, spiega Conti. I pori non si chiudono del tutto e questo è un bene, perché una riduzione drastica degli scambi gassosi comprometterebbe le performance della pianta. Fortuna vuole che il gene sia stato trovato anche in altre specie dicotiledoni, ad esempio in vite, tabacco e pomodoro, e che nel frattempo sia diventato più facile modificare i genomi, grazie a CRISPR. “Questo ha permesso a Massimo Galbiati e a me di generare piante di pomodoro con delezioni diverse. Avere linee di piante con mutazioni differenti consentirà di scegliere le migliori”, continua Conti. La selezione è in corso e le prime osservazioni in serra appaiono promettenti, ma solo in primavera sarà possibile raccogliere dati affidabili sulla resistenza alla siccità in condizioni controllate. “Sarebbe importante fare anche le prove in campo, perciò è auspicabile che vengano sbloccate al più presto le autorizzazioni per la sperimentazione con piante geneticamente modificate”, commenta Chiara Tonelli, che è stata nominata presidente della Federazione Italiana Scienze della Vita.
Le specie vegetali hanno necessità idriche differenti ed è un peccato che nei cereali non sia stato trovato l’equivalente del MYB60. I numeri ce li dà Tonelli: “Per ottenere un pomodoro servono 13 litri di acqua, per una mela 70 litri, per un chilo di mais, grano e riso sono necessari rispettivamente novecento, mille e tremila litri”. L’agricoltura consuma il 70% dell’acqua dolce, in confronto gi usi domestici e l’industria ne impiegano l’8 e il 22%, ricorda la genetista. “La siccità è la prima causa della perdita di produzione, è causa di migrazioni e conflitti. Insomma, è importante sviluppare piante che siano in grado di crescere bene in condizioni di scarsità idrica ma anche in condizioni normali, perché non è possibile sapere se un anno sarà più o meno siccitoso”, conclude Tonelli.
Un’idea consiste nel rendere le piante più reattive ai primi segni di stress idrico agendo su alcuni ormoni vegetali. “In caso di siccità l’acido abscissico o ABA è il segnale chimico per eccellenza e noi vorremmo intervenire su questa cascata di segnale. Disattivando gli elementi genici che la frenano, si potrebbero avere piante sensibilizzate e dunque più pronte ad attivare strategie difensive”, spiega Conti. I geni coinvolti sono tanti, quindi sarà necessario studiarli uno per uno e in combinazioni diverse, nella speranza di trovare il giusto equilibrio tra capacità di reazione e buona crescita.
La via dell’ABA influenza molti processi oltre alla regolazione degli stomi, tra cui il timing della fioritura a cui Conti è particolarmente interessato. “È uno dei tratti più importanti, perché se la fioritura è programmata entro una certa finestra temporale la pianta può produrre semi prima che arrivi la siccità”. In pratica si tratta di comprimere la fase riproduttiva nella stagione più piovosa, giocando di anticipo sui mesi più secchi. Non è detto, però, che quello che funziona per Arabidopsis possa essere applicato alle specie di interesse agrario, che hanno perso parte della loro plasticità proprio per la selezione fatta finora.
“È emblematico lo studio del francese François Tardieu, che ha confrontato le varietà di mais coltivate in 50 anni e più. Ne emerge che i breeder sono intervenuti su caratteri costitutivi come la fioritura e l’architettura delle foglie, ma non sulla regolazione degli stomi che poteva risultare svantaggiosa per la produttività in uno scenario finora relativamente favorevole”, dice Conti. Ora però la crisi climatica incombente sta cambiando il rapporto tra costi e benefici per questo e altri tratti, come l’aumento consistente della massa radicale innescato dal gene DRO1 (un’altra strategia di avoidance). “Ci stanno lavorando diversi gruppi perché avere radici più sviluppate consente di raggiungere l’acqua in profondità, anche se investire in radici è un costo per la pianta e il vantaggio viene meno se il suolo è poco profondo”, afferma Conti.
Insomma, la tolleranza alla siccità è un carattere, o meglio un insieme di caratteri, estremamente complesso, e bisognerà esplorare molte possibilità prima di trovare stratagemmi efficaci. In passato i ricercatori hanno giocato le carte del breeding classico e anche dell’ingegneria genetica, ma le varietà resistenti agli stress idrici arrivate sul mercato si contano sulle dita di una mano. La speranza è che la maggior consapevolezza della sfida rappresentata dai cambiamenti climatici e l’avvento di uno strumento versatile come l’editing genomico contribuiranno ad accelerare la ricerca e a concretizzarne i risultati.