Parassiti, patogeni e malerbe nel mondo antico e nel Medioevo: alcuni spunti di riflessione
A partire dalla rivoluzione neolitica l’uomo agricoltore si è costantemente confrontato con parassiti, patogeni e malerbe, in una lotta resa impari dall’assenza di mezzi di difesa veramente efficaci
La storia delle fitopatie si perde nelle nebbie del tempo e il suo studio è afflitto da un notevole tasso di indeterminatezza che discende da tre principali fattori (Zadoks, 2017):
- l’approccio analitico della scienza galileiana con il superamento degli approcci olistici del passato;
- il progresso registrato nelle diverse discipline scientifiche coinvolte (genetica, botanica, agronomia, nutrizione delle piante, rotazioni, entomologia, patologia vegetale, difesa fitosanitaria, ecc.), tradottosi anche in modifiche rilevantissime nelle tassonomie adottate, sempre più difficilmente confrontabili con quelle utilizzate in passato;
- il fatto che la dinamica delle popolazioni di parassiti e patogeni è strettamente dipendente dalle relazioni in atto con l’ospite, con gli altri organismi che popolano l’agro-ecosistema e con le variabili ambientali (meteo-climatiche e pedologiche).
Per cercare di indagare questa interessante e complessa tematica utilizzerò dapprima l’approccio offertoci da uno studioso d’eccezione, Camillo Tarello da Lonato, per poi sviluppare alcuni esempi specifici riferiti a malerbe, malattie fungine dei cereali, invasioni di cavallette in Europa e Nord Africa ed ergotismo, provando infine a trarre alcune conclusioni.
Camillo Tarello e le avversità delle colture
Per cogliere l’ineliminabile iato che ci separa dal sentire degli antichi, mi pare interessante ricordare quanto scriveva all’alba dell’evo moderno il grande agronomo bresciano Camillo Tarello (ca. 1513 – 1573) nel suo “Ricordo d’agricoltura” (Venezia, 1567) riflettendo sulle limitazioni alla produzione agricola: “Considerando che ogni spica del grano che si semina ogni anno ha comunemente (dirò così) cinquanta grani, … se detto grano seminato nascesse tutto noi doveremmo havere d’ogni grano cinquanta grani che sariano per ogni quarta o stara cinquanta quarte o stara nondimeno noi non l’abbiamo. Questo difetto del non havere cinquanta per uno deriva dal non nascere tutto il grano delle biave che noi seminiamo. Ed il non nascer tutto (lasciando da canto per ora il dire della nebbia del freddo delle formiche de i sorci delle talpe o topine ed altri simili animali ed influenze) bisogna, che proceda da una di sette cause o da tutte sette. Cioè o dalla semenza, o dalle piogge, quando le biade sono in fiore o da i venti, quando esse sono in fiore o fanno il grano o dagli uccelli che la becchino quando è seminata o da i vermi che la mangino o dalla terra o dagli agricoltori.”
Invito il lettore a considerare la modernità dell’approccio: Tarello parla, infatti, di un potenziale produttivo (50 cariossidi per spiga) sul quale agiscono le limitazioni, parte delle quali legate alle avversità abiotiche (il freddo, la nebbia, le piogge e i venti) e abiotiche (parassiti e patogeni).
Alla modernità di un approccio basato sul potenziale produttivo si associano tuttavia rimedi presi pari pari da autori antichi della cui autorità Tarello non dubitava e che tuttavia oggi fanno sorridere:
“Bagnando i semi che si seminano con acqua nella quale sia stato posta della fuligine essi semi non saranno offesi da i vermi Scrive Columella nel libro 2 cap 3 Item bagnandoli col vino dice Plinio libro 18 cap 17 e Costantino Cesare Imperatore libro 2 cap 16 Il medesimo effetto farà bagnandoli o bruffandoli con orina vecchia o sterco di cane fatti liquidi insieme se si fa un dì innanzi che si semini dice Costantino Cesare lib 2 cap 16” e poi: “Cantarelle si chiamano quelli animali che rodono le vigne tenere e l’uve insieme. Queste non nuoceranno se quando si potano le viti si ungerà con aglio la falce con che si pota Palladio teste lib i cap 35. Ovvero ardendo sotto le viti sterco secco di bue o letame o del galbano. Item andandovi per dentro via più volte donna mestruata e scalza e coi capelli giù per le spalle scrive Plinio nel lib 2 8 cap 7. Questo effetto dell’andare le donne per li campi non si dee far nel levare del sole perché nuocerebbe.”
E ancora: “La tempesta non nuoce alle biade se nel mezzo di queste si sotterra un rospo, o botta (che è rana grossa, terrestre, e velenosa) in vaso nuovo di terra, come attesta Plinio lib. 18 cap. 29 […]. Questo è facile da provare, ed essendo vero, farà di molto beneficio. Il che non parrà impossibile a coloro che crederanno che la saetta non percorre mai il lauro né gli uomini che se ne coronano, né le case né i campanili che erano o che saranno d’esso coronati o dove sarà piantato detto lauro come scrive Plinio nel lib. 55 e nel lib. 15 cap. 30.”
Con riferimento ai rimedi contro i parassiti dei cereali vernini così si esprime Lucio Giunio Moderato Columella nel suo “De re rustica” (libro II capitolo IX): “Vi sono altresì dei parassiti che agiscono sottoterra troncando le radici e uccidendo così i cereali. Come rimedio contro di essi si può ricorrere alla soluzione acquosa del succo dell’erba che i contadini chiamano semprevivo, nella quale si immergono per una notte i semi prima della semina. Per lo stesso scopo altri mettono a mollo i semi nella soluzione acquosa del succo di cocomero serpentino o delle sue radici macinate. Altri con quest’acqua medesima scacciano i parassiti spruzzando i seminativi che cominciano a manifestare i sintomi del danno.”
Ho riportato queste citazioni perché mi paiono utili per calarci nel sentire degli antichi, i quali vedevano i propri redditi e la propria stessa sicurezza alimentare minati da parassiti, patogeni e malerbe o avversità abiotiche (gelo, grandine, vento, eccesso o carenza idrica, ecc.) di cui il più delle volte non comprendevano le cause e rispetto alle quali non disponevano di alcun rimedio realmente efficace.
Le malerbe
Il racconto biblico della Genesi associa la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre con la nascita dell’agricoltura: “Poiché hai dato ascolto alle parole di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui solo ti avevo proibito di mangiare, maledetta sarà la terra nei tuoi lavori; con dolore ne ricaverai il tuo cibo tutti i giorni della tua vita; essa produrrà per te spini e rovi…”.
Non a caso, il racconto biblico focalizza l’attenzione sulle malerbe, da sempre grande nemico degli agricoltori poiché in grado di distruggere interi raccolti e rispetto alle quali Zadoks (2017) riferisce un interessante aneddoto: nel Medioevo lo stoppione (Cirsium arvense L.) costituiva un grave problema per le colture di frumento in Inghilterra ove la lotta veniva condotta strappandolo a mano, con mani protette da pesanti guanti di pelle. Meno faticosa era la “caccia alle teste” poiché l’operaio poteva lavorare in piedi: il gambo del cardo veniva bloccato per mezzo di una forchetta posta su un bastone e il capolino veniva tagliato con un coltello da potatura, anch’esso montato su un bastone. Il tempismo di tali attività era essenziale nel senso che l’operazione andava idealmente eseguita per San Giovanni, il 24 giugno: infatti se tagliate troppo presto le piante di Cirsium avrebbero generato nuovi germogli mentre se tagliate troppo tardi avrebbero disseminato amplificando il problema nell’anno successivo.
Le malattie fungine dei cereali
Il più antico trattato di agronomia è il cosiddetto “Manuale dell’agricoltore sumerico”, le cui prime tracce sono state reperite in una tavoletta scritta in sumero e accadico risalente al 1700-1500 a.C. e che dunque precede di molti secoli il secondo trattato a noi noto e cioè “Le opere e i giorni” di Esiodo (VIII-VII secolo a.C.).
Il trattato sumerico si riferisce a una cerealicoltura irrigua basata sull’orzo e descrive in termini spesso quantitativi le sistemazioni idraulico agrarie e le tecniche agronomiche da porre in atto per massimizzare le rese. Circa le malattie fungine, vi si fa cenno nel modo che segue: “Dopo che il germoglio è emerso dì una preghiera alla dea Nonkilim, scaccia gli uccelli e irriga una prima volta. Quando l’orzo si erge alto, irrigalo una seconda e poi una terza volta. Se l’orzo irrigato diventa rosso esso è malato del male di Samana. Se invece riesce a produrre chicchi abbondanti irrigalo per la quarta e ultima volta”. Il mal di Samana fa pensare alle ruggini, le quali furono una vera persecuzione per gli antichi cerealicoltori, tanto che in epoca romana esisteva una divinità, la dea Rubigo, che proteggeva i campi dalle ruggini e la cui festa cadeva in aprile. Sulle origini di tale culto Plinio nel suo “Naturalis historia” (libro XVIII – 69) ci informa che “Numa nell’undicesimo anno del suo regno ordinò i sacrifici Rubigali i quali si fanno ora il venticinque di aprile perché di norma in quel tempo la ruggine colpisce le biade”.
Le invasioni di cavallette in nord africa e in europa
Pare che la locusta del deserto (Schistocerca gregaria Forsk.), già nota nel racconto biblico come una delle sette piaghe l’Egitto, abbia inferto un attacco devastante in Nord Africa nel 125 a.C., con 800.000 morti stimati a seguito di fame e malattie (Zadoks, 2017). Locusta migratoria L. è ritenuta invece la principale responsabile di gravi danni in Europa ove, comunque, sono attive anche altre specie di ortotteri gregari come Dociostaurus maroccanus (Thunberg, 1815) e la specie autoctona Calliptamus italicus L. (Camuffo e Lenzi, 1991).
Plinio il Vecchio, riferendosi forse a Dociostaurus maroccanus, scrive che “Le locuste si riproducono in autunno, deponendo una massa di uova nel terreno con l’ovipositore. Le uova rimangono nel terreno per tutto l’inverno e nella primavera dell’anno seguente schiudono liberando le neanidi, scure, non in grado di saltare e che si spostano per mezzo di ali rudimentali. Molte delle uova vengono distrutte se la primavera decorre piovosa mentre molte sopravvivono con primavera asciutta. Moltissime neanidi muoiono se, trasportate dalle correnti aeree, cadono in mare o negli stagni. Molti sciami, provenienti per lo più dall’Africa, infestano l’Italia, la cui popolazione, per il timore della fame, è spesso costretta a cercare rimedi nei libri sibillini di Roma” (Nat. Hist., l. XI, cap. XXXV).
Per il Medioevo Camuffo e Lenzi (1991), in base all’analisi di svariate fonti documentali europee, hanno individuato un totale di 28 invasioni di cavallette che sono qui di seguito riportate con le aree maggiormente interessate: 579-584 (Spagna), 591-592 (Italia), 852 (Inghilterra?, Francia?), 864 (Francia?), 873 (Europa con arrivo da Est – l’invasione si spinse a Nord fino alla Frisia – Zadoks, 2017), 875 (Italia), 885 (Italia), 1034-36 (Grecia), 1222 (Italia), 1232 (Europa con arrivo da Est), 1277 (Italia), 1301 (Europa con arrivo da Est), 1309 (Italia), 1310 (Europa con arrivo da Est), 1314 (Italia con arrivo da Nord delle Alpi), 1335 (Polonia), 1339 (Balcani, Italia), 1340 (Europa con arrivo da Est), 1347-1348 (Italia), 1354-1355 (Cipro e Africa), 1357 (Italia), 1363-1364 (Europa con arrivo da Est), 1365 (Europa con arrivo da Est), 1366 (Italia), 1371 (Europa con arrivo da Est), 1468 (Balcani, Italia), 1477 (Ungheria, Italia), 1478 (Italia con arrivo da Nord delle Alpi).
Gli stessi Camuffo e Lenzi (1991) hanno inoltre individuato 13 carestie medioevali sviluppatesi in Europa a seguito di invasioni di cavallette e accadute negli anni 584, 591-592, 1222, 1232, 1339, 1347, 1354, 1355, 1356, 1357, 1364, 1365 e 1371.
L'ergotismo
Nel Medioevo europeo il fungo Claviceps purpurea Tull., oggi per lo più controllato grazie alla concia delle sementi, fu responsabile di intossicazioni alimentari gravi e note come “ergotismo” (dal francese ergot, segale). Fra i primi episodi documentati vi è quello che ebbe luogo nella valle del Reno nell’857 d.C. (Annales Xantenses) mentre fra i fenomeni più estremi si ricordano quello accaduto a Limoges (Francia) nel 944-45 e che causò la morte di circa 10.000 persone, cui circa 50 anni dopo seguirono altri 40.000 morti nel sud della Francia (Miedaner e Geiger, 2015). Nel 1088, a seguito di un’altra importante epidemia, Gaston de la Valloire fondò a Saint-Antoine-en-Viennois un ospedale dedicato a Sant’Antonio per curare i molti malati, per cui da allora si parlò di fuoco di Sant’Antonio per designare la patologia e Sant’Antonio Abate andò ad aggiungersi a San Sebastiano e a San Rocco nel ruolo di protettore dei malati (Spellberg, 2015). Altre epidemie medioevali di ergotismo sono inoltre segnalate in Germania negli anni 1042, 1076, 1089 e 1094 (Montanari, 1993) e nel 1374 a Aaachen (Zadoks, 2017). Bisognò infine attendere il 1670 perché il medico francese Thuillier evidenziasse che l’ergotismo non era una malattia infettiva ma l’effetto tossico della segale contaminata da Claviceps.
Un tentativo di sintesi
Osserva Zadoks (2017) che l’insieme dei parassiti e dei patogeni che nei millenni hanno colpito i vegetali coltivati può essere indagato adottando come punto di vista comune quello offerto dall’epidemiologia, disciplina la cui nascita è fatta risalire a Ippocrate di Kos (460-377 a.C.), medico, botanico e allievo prediletto di Aristotile. Ippocrate, infatti, coniò il termine epidemios (che grava sul popolo, a mo’ di spada di Damocle), utilizzandolo come sostantivo e come aggettivo.
Il termine epidemia apparirà nel 1497 nel testo “Libellus de epidemia” di Nicolò da Lonigo alias Nicolaus Leonicenus (1428-1524), ove viene riferito all’epidemia di sifilide che colpì l’Europa in anni vicini a quelli della scoperta dell’America mentre in ambito botanico il termine epidemia viene utilizzato nel 1728 dall’agronomo e botanico francese Duhamel du Monceau (1700-1782) con riferimento a una malattia dello zafferano che si propagava nel suolo e per la quale propose alcuni metodi di controllo.
Occorre infine sottolineare che di fronte all’indeterminatezza di molte fonti antiche è importante evitare interpretazioni totalizzanti e basate sulla sola fitopatologia.
Per fare un esempio vicino a noi, se è noto che la grande carestia d’Irlanda (1846-1848) fu innescata da due fallimenti del raccolto di patate e portò a 1,5 milioni di morti e 4 milioni di emigrati, non si può in alcun modo ignorare il fatto che la stessa malattia delle patate imperversò in altre parti d’Europa (ad esempio in Scozia e Germania) dando luogo a effetti senza dubbio negativi ma di portata inferiore (Zadoks, 2017). La differenza la fece il contesto socio-economico peculiare dell’Irlanda che a quei tempi era un unicum in Europa, caratterizzandosi per una crescita demografica molto forte in un contesto di grandissima povertà e arretratezza socio-culturale della popolazione, associato alla nettissima prevalenza dell’agricoltura di sussistenza sui settori secondario e terziario.
L’esempio irlandese invita altresì a utilizzare lo schema interpretativo “penuria di cibo – carestia” proposto da Adam Smith nel suo “Inchiesta sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni” e che si rivela a mio avviso un buon modello interpretativo utile a descrivere molte delle carestie di cui è costellata la vicenda umana (Mariani, 2018).
Secondo lo schema di Adam Smith, se le penurie sono il più delle volte prodotte da avversità biotiche o abiotiche che decurtano i raccolti, esse si trasmutano in carestie se il commercio non può intervenire trasferendo derrate alimentari dalle aree non colpite dalla penuria. In tal senso è esemplare la vicenda narrata da Alessandro Manzoni nel capitolo 12 de “I promessi sposi”: nel 1628 la penuria di grano prodotta da due anni di cattivi raccolti nel Ducato di Milano si mutò in una grave carestia per effetto del calmiere imposto dal gran cancelliere Antonio Ferrer e che disincentivò i commercianti dal fare affluire cereali nell’affamato Ducato. Non per nulla Luigi Einaudi definì il capitolo 12 de “I promessi sposi” come “uno dei migliori trattati di economia politica che siano mai stati scritti” (Mingardi, 2022).
Bibliografia
Camuffo D., Enzi S., 1991. Locust Invasions and Climatic Factors from the Middle Ages to 1800, Theor. Appl. Climatol. 43, 43-73.
Mariani L., 2018. Le carestie nella storia, in Atti del convegno “Penurie, carestie e sicurezza alimentare”, Museo di Storia dell’agricoltura, ISBN 9788890973543, 8-27.
Miedaner T., Geiger H.H., 2015. Biology, Genetics, and Management of Ergot (Claviceps spp.) in Rye, Sorghum, and Pearl Millet, Toxins 2015, 7, 659-678; doi:10.3390/toxins7030659.
Mingardi A. 2022. Il grave errore di Ferrer – L’economia nei «Promessi Sposi, L’Osservatore Romano, 25 aprile 2022, https://www.brunoleoni.it/manzoni-economia-einaudi
Montanari, M., 1993. Der Hunger und der Überfluss. Munich.
Smith A., 1776. Inchiesta sulla natura e le cause della ricchezza delle Nazioni, W. Strahan and T. Cadell, London.
Spellberg 2015 The holy fire and the lonely saint, Cabinet, A quarterly of art and culture, issue 57, Catastrophe, 55-63.
Tarello C., 1567. Ricordo d’agricoltura, Venezia (https://books.google.it/books?id=gxqIX88W65AC)
Wong G., 2022. Ergot of Rye -Introduction and History. http://www.botany.hawaii.edu/faculty/wong/BOT135/LECT12.HTM
Zadoks J.C., 2017. On Social and Political Effects of Plant Pest and Disease Epidemics, Pthytopatology, 2017, 107: 1144-1148, DOI: 10.1094/PHYTO-10-16-0369-FI.