Specie “aliene” e cambiamento climatico: l’agricoltura alla prova del terzo millennio
Uno studio commissionato dalla FAO sintetizza le più importanti ricadute del riscaldamento globale sulle piante e, di conseguenza, sull’agricoltura. Tra le maggiori minacce il proliferare di patogeni provenienti da altri ecosistemi, favoriti dal caldo e portati dal commercio globale
Estati sempre più calde, inverni miti ma anche escursione termica tra giorno e notte molto pronunciata e un incremento di eventi cosiddetti estremi, come siccità, uragani, alluvioni, trombe d’aria: sono queste le sfide che il cambiamento climatico sta imponendo alle piante e quindi indirettamente ad agricoltori e agricoltura. In questo ambito i suoi effetti sono sempre più evidenti: da una parte, in alcune aree geografiche (Africa sub-sahariana, ad esempio) già sono devastanti e causano sempre più significative migrazioni di popolazioni alla ricerca di acqua e terre da coltivare; dall’altra, il cambiamento climatico influenza i parassiti delle piante, che già imperversano anche come conseguenza del commercio globale.
Ma che livello di conoscenza abbiamo del global warming e, soprattutto, che strategie dovremmo adottare per far fronte ai suoi impatti sull’agricoltura? Per rispondere a queste domande nel 2020, anno che le Nazioni Unite hanno dedicato alla salute delle piante, la FAO ha commissionato ad un gruppo di dieci ricercatori di tutto il mondo specializzati in campi differenti (climatologi, agronomi, entomologi, fitopatologi, biotecnologi, informatici che ho avuto il piacere di coordinare) uno studio sull’impatto dei cambiamenti climatici sulle malattie delle piante. Lo studio ha compiuto un’analisi critica multidisciplinare della letteratura sull’argomento e ha prodotto un documento riservato a politici e legislatori con l’obiettivo di fornire una serie di indicazioni concrete.
Siamo partiti dai dati: tutte le rilevazioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) evidenziano con molta chiarezza che il riscaldamento globale è un processo in atto che, a questo punto, è possibile solo rallentare. Un eventuale aumento della temperatura di 1,5°C (le previsioni più pessimistiche parlano addirittura di 2,0°C) tra il 2030 e il 2050 potrebbe avere effetti devastanti.
La maggioranza degli studi condotti su colture agrarie indicano che, in generale, in presenza di cambiamento climatico, il rischio di attacco da parte di parassiti in generale (funghi, batteri, virus, insetti, infestanti, …) aumenterà, soprattutto nelle regioni artiche, boreali, temperate e sub-tropicali. Lo stesso fenomeno è prevedibile per i sistemi forestali.
Ma in che modo l’aumento di temperatura e anidride carbonica, le variazioni di luminosità e umidità relativa favoriscono sopravvivenza, riproduzione e diffusione dei parassiti? Queste condizioni agiscono sia sui parassiti stessi sia sulla fisiologia delle piante, sempre però a vantaggio dei primi. Anche la cosiddetta “globalizzazione” ha un ruolo in questa dinamica: si calcola che circa la metà dei parassiti più gravi siano diffusi attraverso i trasporti e il commercio. Questi fattori (trasporti, commercio e cambiamento climatico) interagiscono, in modo spesso sinergico, tra di loro. Ad esempio, un inverno insolitamente caldo può favorire, in una sola stagione, l’insediamento in una nuova area di una specie invasiva.
Solo per fare un esempio, si pensi a cosa potrebbe succedere se la Xylella fastidiosa, per ora confinata in Puglia su olivo, dove ha prodotto danni enormi non solo al comparto agricolo ma anche al turismo, compromettendo il paesaggio, dovesse mai raggiungere altre aree di coltivazione di questa specie. O, ancora, quando consumiamo una banana, riflettiamo che potrebbe succedere che le varietà che oggi apprezziamo di più per le loro caratteristiche organolettiche, potrebbero non essere più coltivate in futuro per colpa di un’infezione fungina chiamata tracheofusariosi.
Comunque, nonostante la quantità degli studi condotti e la gran mole di dati a nostra disposizione, ci sono ancora aree inesplorate o poco investigate. Ad esempio, l’aumento di temperatura e di anidride carbonica influenza l’efficacia di agrofarmaci tradizionali o di mezzi biologici di lotta? Mentre la maggioranza degli studi ha riguardato sistemi colturali, poca attenzione è stata riservata allo studio degli effetti dei cambiamenti climatici sui parassiti che interessano gli ecosistemi naturali.
In una situazione già fortemente critica, potranno limitare l’ulteriore diffusione di pericolosi parassiti soltanto misure di prevenzione, mitigazione e adattamento, come ad esempio l’impiego di semi e materiale vegetale sano (o risanato), l’adozione di modelli previsionali che tengano conto anche del rischio di introduzione di nuovi parassiti e l’utilizzo di varietà resistenti agli stress ambientali, più idonee ad essere coltivate in scenari climatici diversi.
Nello studio condotto per la FAO abbiamo voluto fare un passo in più, sviluppando un documento rivolto ai legislatori: riteniamo sia fondamentale utilizzare al meglio le strutture fitosanitarie di cui disponiamo per armonizzare i controlli, anche condividendo metodi diagnostici e protocolli, e scambiare in tempo reale informazioni utili a evitare la diffusione di pericolosi parassiti. Perché se il problema delle specie aliene e dei nuovi patogeni è globale, allora deve esserlo anche l’approccio con cui li contrastiamo.