Agrifake: quattro passi fra le bufale sull’agricoltura
Intervista a Salvatore Pilu e Andrea Scapin, autori del libro Agrifake edito da Aracne. Un viaggio attraverso la disinformazione che grava sulle pratiche agricole, passate, odierne e future
La percezione dei fenomeni sociali, politici ed economici è da sempre influenzata dalle informazioni a cui i cittadini hanno accesso. Queste, però, non sempre sono attendibili e veritiere. Basti pensare alle cosiddette “leggende metropolitane”, ovvero a storie in tutto o in parte inventate, ma percepite come realmente accadute da una quota di popolazione, variabile in funzione dell’argomento.
Lo studio delle dinamiche attraverso le quali le “bufale” diffondono a livello sociale coinvolge oggi docenti e ricercatori universitari, i quali dedicano i propri sforzi a comprendere origini, modalità e obiettivi delle “fake news”, ovvero delle notizie false. Queste, a conferma, sono state poi segmentate in diverse classi proprio in funzione della loro tipologia.
Leggi per approfondimenti: “Conoscere la disinformazione”
Anche l’agricoltura patisce di tali fenomeni, tramite i quali vengono alterata la percezione del ruolo della chimica agraria, della genetica e delle attività produttive in genere. Come risultato, è andata crescendo una progressiva sfiducia nelle attività del comparto primario, visto spesso come fonte di pericoli e di danni, anziché come fonte di sostentamento alimentare sicuro.
Ad approfondire questi temi sono stati Salvatore Pilu e Andrea Scapin, dell’Università degli Studi di Milano e autori del libro Agrifake, edito da Aracne e disponibile anche in formato Kindle. Nelle 172 pagine del volume sono elencati e discussi i casi più emblematici di disinformazione, nel tentativo di restituire un’immagine veritiera degli scenari agricoli moderni. Inoltre, dopo la pubblicazione del libro, Andrea Scapin ha dato vita anche al podcast “Agrifake”, pubblicato su tutte le piattaforme, incluso Spotify. Il podcast è impostato al fine di riprendere gli argomenti del libro e si è progressivamente ampliato toccando molti temi dell’agroalimentare. Lo scopo, analogamente al libro cartaceo, è di far conoscere un mondo distante o distorto e con la caratteristica di dare voce a tutti, senza censure.
AgriScienza ha quindi deciso di intervistare gli autori di Agrifake, al fine di approfondire le ragioni della sua pubblicazione e i molteplici risvolti dei temi trattati.
D. Partiamo da ciò che colpisce già al primo sguardo: il Vostro libro Agrifake riporta in copertina un uomo scalzo, presumibilmente un agricoltore intento a raccogliere frutta, che sembra attraversare un binario sul quale un treno a vapore si allontana in direzione di una cartina geografica stilizzata a mano. Presumo che ognuno di questi dettagli abbia un significato. Ce li potreste spiegare?
R. Ci fa molto piacere questa domanda riguardo alla copertina del nostro libro, scelta con attenzione ma alla quale pochi hanno chiesto dettagli. L’uomo raffigurato in copertina non è un agricoltore qualsiasi, è Johnny Appleseed, un personaggio realmente vissuto nell’epoca dal Far West in America. Sono proprio gli Stati della cartina geografica stilizzata quelli dove Johnny Appleseed (all’anagrafe John Chapman, ndr) seminava e riseminava alberi di melo, creando così una diversità genetica incredibile dalla quale discendono le mele che ancora oggi mangiamo. Il disegno, di Alice Scapin (sorella di Andrea), è un adattamento della classica rappresentazione di Johnny Appleseed con l’aggiunta di alcuni elementi, tra cui anche i binari del treno simbolo dell’epoca del Far West, ma simbolo anche di innovazione. Johnny Appleseed è raffigurato mentre raccoglie le mele, le uniche colorate nel disegno, che metaforicamente possiamo interpretare come la conoscenza. Quindi innovazione e conoscenza affrontate senza paura e con umiltà (i piedi scalzi e l’indole pacifica del personaggio). Alcuni pensano che Johnny Appleseed fosse un ecologista, ma è quasi certamente un errore. Egli era più un imprenditore, oltre che fortemente appassionato di piante, poiché seminava e rivendeva alberi di melo ai coloni, seguendo la conquista dell’Ovest. Questo ci fa riflettere sul lato economico delle cose. L’agricoltura è un’attività economica che deve fare reddito, non la visione distorta che spesso i non addetti ai lavori possono avere. Quella di Johnny Appleseed è un’affascinante storia che racchiude tantissimi elementi, quindi secondo noi ben si adattava alla copertina del nostro libro.
D. Quali sono state le molle personali e professionali che vi hanno spinto a scrivere Agrifake?
R. I discorsi embrionali che hanno portato a voler dare un contributo divulgativo rispetto a temi che pensiamo di padroneggiare sono iniziati ormai diversi anni fa, durante le afose giornate passate nel campo sperimentale di genetica sul mais della Facoltà di agraria. Tutte le persone fermamente contrarie agli OGM, sostenitrici convinte del biologico, amanti di metodi alternativi di agricoltura come il biodinamico e affascinate da un’agricoltura naturale e bucolica sono state di grande stimolo per scrivere, invece, riguardo all’agricoltura vera, quella che sfama una popolazione mondiale in crescita. Troppe persone che parlano di ciò che non conoscono, i social che diffondono pseudoscienza, le pubblicità ingannevoli sono state molle per iniziare a divulgare. È un libro divulgativo, ma comunque ci siamo sforzati di analizzare la letteratura scientifica senza fare cherry picking e riportando le citazioni delle affermazioni come negli articoli scientifici. Abbiamo voluto scrivere un libro sintetico, facile e vivace. Un libro per tutti.
D. Se doveste riassumere in poche parole i capitoli del libro, quali sono gli argomenti salienti che avete affrontato?
R. Ciò che è naturale non è sano sicuro e ciò che è chimico non è per forza dannoso, perché tutto è chimica ed è la dose che fa il veleno. L’agricoltura non è naturale e non può essere naturale, seppur possa diventare sempre più sostenibile, ma non siamo sicuri che il biologico possa essere più sostenibile e per questo lo analizziamo punto per punto. Arriviamo a parlare di biodinamico, considerato invece una stregoneria dalla letteratura scientifica. Sarà così fino a quando i dati degli esperimenti scientifici non diranno il contrario e non possono essere gli empirismi basati spesso su bias cognitivi a dimostrare che il cornoletame o la luna abbiano un effetto sulle piante. Abbiamo parlato di quanto sia difficile fare agricoltura, con mille variabili in gioco, prezzi altalenanti e con marginalità sempre più basse. Abbiamo focalizzato molto sul miglioramento genetico e perché non dobbiamo, a priori, avere paura di OGM e genome editing.
D. L’information disorder, declinato nelle sue molteplici sfaccettature, affligge ormai ogni settore della società. Misinformazione, disinformazione, malinformazione hanno reso inadeguato il semplicistico termine “fake news”, notizie false. Se nel primo caso si può parlare di informazioni errate condivise in buona fede, nel secondo emerge invece la precisa volontà di alterare i fatti a vantaggio o a svantaggio di qualcuno. Infine, nel terzo caso si parte da una notizia vera nella sostanza, ma diffusa per modi e toni al fine di creare danno a precise persone o gruppi. Secondo voi, in tema di agricoltura quale di queste tre forme di information disorder è predominante?
R. Nel libro non siamo entrati nel dettaglio dell’information disorder, abbiamo parlato in maniera molto generale di pseudoscienza, ovvero una finta scienza che non si basa sull’impostazione ed esecuzione degli esperimenti scientifici per raccogliere dei dati da analizzare, e successiva pubblicazione su riviste scientifiche con peer-review, ovvero revisione tra pari. Abbiamo parlato di fake news, in maniera appunto generalizzata, per far riferimento alla diffusione della falsa scienza, con le modalità e le finalità che non abbiamo voluto indagare e approfondire, ma che nel complesso portano sicuramente alla disinformazione e a erronee credenze. Se vogliamo adesso approfondire il tema, potremmo dire che in agricoltura potrebbe essere la misinformazione e la disinformazione a essere predominanti. In alcuni casi, semplicemente, non vi è la capacità di analizzare e contestualizzare i dati; in altri casi ci potrebbero essere persone, aziende o associazioni con un possibile interesse nel promuovere un servizio o un prodotto, facendo leva su quel che il consumatore vuole sentirsi dire. Basti pensare al greenwashing come strategia per diffondere immagini di sostenibilità e superiorità di un prodotto o di un sistema che di fatto non è più sostenibile o lo è addirittura meno.
D. Potreste fare esempi di misinformazione, disinformazione e malinformazione che avete avuto modo di rilevare in campo agricolo?
R. Diventa difficile a parer nostro entrare nei dettagli delle definizioni. La nostra preoccupazione è indurre al pensiero critico fornendo concreti studi e dati per portare il consumatore a fare delle scelte più consapevoli quando è al supermercato, aiutandolo a comprendere cosa sta dietro al prodotto che compra. Sarà il lettore o il consumatore a trarre conclusioni tra le infinite sfumature di grigio della scienza, che non è bianco e nero, e a trarre conclusioni sull’origine delle fake news, se è solo ingenua misinformazione, furba disinformazione o diabolica malinformazione. Ad esempio, una delle più grandi “malinformazione” riguarda l’utilizzo degli OGM che verrebbero associati a tutta una serie di pericoli per l’ambiente e la salute degli animali e dell’uomo. Non esistono evidenze scientifiche che abbiamo retto nel tempo che dimostrino tutto ciò. Ad oggi nessun incidente o danno è stato causato direttamente dall’utilizzo degli OGM, anche perché sono tra le piante più controllate e studiate a livello mondiale.
D. La percezione dell’agricoltura da parte dei cittadini appare sovente distorta dalle rappresentazioni oleografiche che vengono fatte da molteplici fonti: pubblicità, trasmissioni televisive e pagine social. Quanto è cambiata l’agricoltura rispetto a quella supposta bucolica dei tempi passati?
R. Ci piace la definizione di “supposta bucolica”. L’agricoltura non è quella: non è l’orto di casa, non è il contadino pulito che accarezza le spighe di frumento come in alcune note pubblicità. L’agricoltura è un’attività bella ma faticosa, che ha a che fare con innumerevoli variabili, come il clima e l’altalena dei prezzi. Dalla visione finta dell’agricoltura dimenticata, che non era così perché estremamente più faticosa di oggi, l’agricoltura si è arricchita di competenza e innovazione e “vai a zappare” non è più un insulto attuale. Fare l’imprenditore agricolo è ben altro e significa riuscire ad avere una marginalità che debba sostenere economicamente l’azienda, la quale deve confrontarsi con un mercato sempre più globalizzato e competitivo. Gli investimenti, basati anche sui 3 pilastri dell’agricoltura (chimico, agronomico e genetico) sono fondamentali e la scelta delle aziende sono sostanzialmente due: produrre in maniera competitiva grandi quantità, oppure inventare una produzione di nicchia che possa essere di un prodotto particolare o di alta qualità. Una realtà non esclude l’altra, ma non possiamo immaginarci un mondo fatto di sola agricoltura di nicchia, d’élite, per pochi disposti a spendere molto di più.
D. Secondo la Vostra esperienza, quali sono i temi agricoli che più patiscono di fake news: residui di “pesticidi” nei cibi? Loro diffusione nell’ambiente? OGM? Difesa e nutrizione delle piante secondo modelli sedicenti più sostenibili Altro?
R. Fanno sorridere tutti i metodi di agricoltura proposti come alternativi che non usano chimica, a volte nemmeno lavorazioni. Se un agricoltore potesse produrre la stessa quantità di prodotto usando meno input sarebbe il primo a svincolarsi da fattori costosi della produzione. Evidentemente riducendo i fitosanitari si ha una minor produzione e una maggior richiesta di manodopera. Chi paga i costi di produzione più elevati? Riguardo agli OGM, sono ancora fortemente visti con sospetto ed è praticamente impossibile parlare di genetica o miglioramento genetico senza suscitare paura negli occhi del non esperto. Per quanto riguarda i residui, spesso vi è la convinzione che il biologico non usi prodotti chimici, mentre molti sono ammessi e non vi è molta conoscenza sul discorso dei tempi di carenza dei prodotti chimici. Spesso potremmo sintetizzare che il biologico è più sano del tradizionale, ma rispettando i tempi di carenza quando il prodotto è commercializzato i residui sono, appunto, residuali o nulli. Per la sostenibilità possiamo aprire un capitolo infinito, ma vi è veramente un greenwashing incredibile: analizzare ciò che è più sostenibile può essere veramente difficile.
D. A Vostro parere, perché l’allarmismo mediatico ha così tanta presa sui cittadini e perché è così difficile spiegare le reali dimensioni dei fenomeni e dei rischi per la salute e per l’ambiente?
R. È un discorso complesso, potrebbe rispondere un sociologo. Ci sono argomenti che di tanto in tanto esplodono e si diffondono come un virus e vengono cavalcati da politici, media o alcune aziende. Difficilmente si approfondisce un argomento: è faticoso e complesso e quindi ci si accontenta di un’informazione spesso superficiale, diffusa da internet e social, ottimo strumento di disinformazione se usati senza lo studio delle fonti.
D. Talvolta sono proprio le pubblicazioni scientifiche ad alimentare l’information disorder, con riviste predatorie che accettano ricerche inconsistenti, additate però sui social quali prove inconfutabili di qualche tesi irrazionale, allarmista o addirittura falsa. Molte di queste vengono poi ritirate tempo dopo, in quanto piene di errori di metodo o addirittura falsificazioni dei dati, ma ormai il danno è fatto. Cosa può fare il mondo della ricerca e dell’editoria scientifica per contrastare questo fenomeno?
R. Il sistema scientifico moderno non è esente da errori, ma ha permesso lo sviluppo della società tecnologica moderna come la conosciamo. È vero, a volte si pubblicano lavori che successivamente vengono ritirati o smentiti da altri studi. Ma questo è normale e dimostra come il sistema abbia gli “anticorpi” per evitare che studi non ripetibili portino a delle conclusioni errate. La scienza non dà certezze ma è la migliore approssimazione che possiamo usare per descrivere la realtà. Nel tempo a seconda della tematica questa approssimazione diminuisce, permettendo il raggiungimento di traguardi impensabili fino a pochi anni fa (si pensi ad esempio all’utilizzo dei satelliti, droni e del genome editing in campo agricolo). A nostro avviso non è colpa del sistema di pubblicazione degli articoli scientifici (che si basano sul peer review), ma il modo in cui vengono usati dalle riviste di divulgazione, dai media e da chiunque in internet. Pochissimi leggono i lavori scientifici, ma moltissimi si informano attraverso la divulgazione che può essere più o meno autorevole e/o faziosa.
D. Potendo dare un consiglio di valenza generale a persone poco ferrate di temi agricoli, cosa ritenete sarebbe utile suggerire come approccio mentale da adottare al fine di individuare le corrette fonti di informazione ed evitare in tal modo di diffondere fake news?
R. Imparare a controllare le fonti d’informazione e possibilmente cercare lo stesso dato su fonti diverse. Ad esempio, nel nostro settore ci sono diverse testate che permettono di aggiornarsi utilizzando fonti autorevoli (e.g. Informatore Agrario, Terra e Vita etc.).