Una mano offre dell'acqua a una piantina

Cambiamenti climatici e produzioni agricole: un legame complesso

La risorsa idrica è una variabile strategica per sfruttare al meglio la maggior disponibilità di anidride carbonica e la più lunga stagione vegetativA

Alle piante l’anidride carbonica serve come punto di partenza per alimentare i processi fotosintetici che portano alla produzione di carboidrati, in primis, e di conseguenza a tutte le altre sostanze a carattere strutturale e funzionale di cui le piante necessitano per vivere e riprodursi.

Anche le temperature, se nel range fisiologico delle diverse colture agrarie, giocano un ruolo fondamentale nel ciclo vitale e produttivo, permettendo prolungamenti dei periodi favorevoli a tutto vantaggio di raccolti più abbondanti. A patto, ovviamente, di non superare la soglia termica alla quale i processi fisiologici cellulari prima rallentano e poi si fermano.

Infine, l’acqua, non a caso coinvolta anch’essa insieme all’anidride carbonica nella produzione di zuccheri tramite fotosintesi. La disponibilità idrica permette di massimizzare i processi biologici delle piante, le quali in sua assenza chiudono progressivamente gli stomi al fine di minimizzarne la perdita. Ciò però comporta un rallentamento e un arresto dei processi fisiologici stessi, fino a condurre a morte le piante nei casi più estremi di stress idrico.

Senza acqua, quindi, si annullano i vantaggi di disporre di lunghe stagioni vegetative, temperature a lungo miti e di un’elevata disponibilità di CO2.

Cambiamenti climatici: fenomeno innegabile

Abbiamo sempre più gas serra, avendo ormai superato le 410 parti per milione di CO2 rispetto ai 280 ppm dell’epoca preindustriale. Ciò, come detto e in assenza di carenze idriche, esalta la fotosintesi nel produrre materia organica, beneficiando al contempo di condizioni termiche che permettono di prolungare i cicli colturali. Va però ricordato che vi sono temperature minime e massime al di sotto e al di sopra delle quali la fotosintesi non funziona come dovrebbe.

A poco servono poi la maggior disponibilità di CO2 e di gradi/giorno se non vi è sufficiente risorsa idrica, da intendersi questa non solo come ammontare complessivo. Aspetto fondamentale è infatti la distribuzione nell’anno e l’entità delle precipitazioni stesse. Se il valore assoluto annuo può tutto sommato variare di poco nel breve periodo, la variabilità nell’intensità e nella distribuzione stagionale delle piogge crea ogni anno numerose incognite.

Circa l’entità delle precipitazioni, per esempio, i dati storici non tracciano evidenze chiare, trovandosi per giunta differenze fra aree geografiche. Per esempio, considerando gli ultimi dieci anni, nel Nord Italia, tradizionalmente più piovoso, le precipitazioni si sono ridotte, mentre del Centro -Sud, tale situazione si è ribaltata. Ma 10 anni sono pochi per trarre delle indicazioni attendibili in un sistema così instabile.

A tale incertezza zonale e pluviometrica, si aggiunge poi quella dell’intensità con cui le precipitazioni giungono al suolo. Queste possono infatti essere molto concentrate nel tempo e quindi più intense, provocando alluvioni e smottamenti. In diversi casi queste precipitazioni assumono poi carattere di vero e proprio disastro locale, come quando per esempio giungono in forma di grandine o di forte temporale accompagnato da vento di tempesta.

Anche in tal caso, però, non vi è ancora un andamento chiaro di questi fenomeni, dal momento che sulla grandine i dati sono pochi e vengono raccolti sistematicamente solo da epoche recenti. Infatti, anche utilizzando i dati internazionali su ampia scala spaziale e temporale sulle precipitazioni più intense non si vede ancora un chiaro cambiamento nelle caratteristiche delle precipitazioni.

Il possibile incremento dell’intensità degli eventi piovosi, così come appare negli ultimi anni nella realtà italiana, è forse la manifestazione più critica del cambiamento climatico, poiché le forti intensità non sono mai favorevoli alle produzioni agricole.  Basti pensare allo shock termico/idrico per il mais a fronte di piogge molto intense, foriere sì di molta acqua ma al contempo di abbassamenti repentini di temperature. Se subito dopo la fine delle piogge le temperature tornano a salire velocemente, magari in piena fioritura, la fertilità delle spighe ne risente e di conseguenza anche le produzioni. Il tutto, nonostante i millimetri piovuti nella stagione siano stati cumulativamente ideali per ottenere buone rese.

Acqua: un bene prezioso da amministrare meglio

La maggiore disponibilità di CO2 e la lunga stagione vegetativa a poco servono quindi se manca l’acqua e se per giunta quella che c’è giunge in modo disomogeneo per tempistiche e quantità. Un grande capitolo potrebbe in tal senso essere in effetti dedicato ai molti perché negli ultimi 70-80 anni sia rimasta disattesa la necessità di aumentare la superficie irrigua in Italia.

Il 2022, anno che verrà ricordato a lungo per la siccità, ha infatti messo a nudo la carenza nelle riforme dei consorzi irrigui, nella manutenzione e nella gestione delle reti come pure nella realizzazione di nuovi invasi di stoccaggio. Una serie di riforme che non può essere improvvisata e che richiede un’attenta pianificazione generale di carattere nazionale.

Tecnologie irrigue: un mondo in continua evoluzione

Le tecnologie attuali per l’irrigazione sono ormai consolidate ed efficienti. Per esempio, la microirrigazione è ormai pratica sempre più diffusa e condivisa. Dovrebbero essere quindi fatte espandere ulteriormente le tecniche irrigue più moderne ed efficienti, anche se, va detto, tali tecniche sono scarsamente applicabili alle colture estensive quali i seminativi.

In tal caso, come per esempio il mais, i sistemi Pivot e Ranger restano quelli ottimali, a patto di avere superfici adeguate tali da giustificarne l’investimento e l’impiego. Contro tali sistemi gioca infatti l’annoso problema della parcellizzazione dei terreni, un fenomeno che affligge ampie porzioni del territorio italiano, in special modo in Pianura Padana.

Gli irrigatori a pioggia, meglio conosciuti come “rotoloni” sono ancora oggi il compromesso fra efficienza e investimenti. Infatti, rispetto a un “rotolone” un impianto a pivot è più costoso all’inizio, sebbene divenga conveniente nel lungo periodo. Il problema è che pochi agricoltori investono (o hanno le risorse per investire) in ottica futura.

Meglio quindi sarebbe se il secondo pilastro del PSR prevedesse ulteriori fondi per questo tipo di investimenti. Considerando l’importanza del tema acqua, tali contributi sarebbero infatti più strategici perfino di quelli concessi, per esempio, alle tecniche di agricoltura di precisione. Queste ultime sono infatti gestibili dalle aziende agromeccaniche che praticano contoterzismo e beneficiano soprattutto della presenza di appezzamenti e aziende di grandi dimensioni. Situazione che vede solo una minoranza di realtà agricole, mentre la maggior parte ha ancora dimensioni troppo ristrette per beneficiare appieno di tali soluzioni innovative, pur preziose e interessanti.

L’aggiornamento dei sistemi irrigui diviene quindi prioritario sia a livello aziendale, sia consortile.  Nei fatti è ormai dimostrato come un anno ogni tre, nei cereali autunno-vernini, un’irrigazione sia molto vantaggiosa sia in termini quantitativi sia qualitativi. Tale pratica andrà quindi considerata sempre più in futuro, anche in ottica seconde semine, quelle più soggette agli stress idrici.

Sulle seconde semine, o colture intercalari, si aprono nuove possibilità. Ad esempio, i cereali a paglia vengono infatti raccolti prima di quanto avvenisse in passato, quando le temperature invernali e primaverili erano inferiori. Oggi in Pianura Padana si raccoglie a fine giugno, anche quando si siano seminate varietà tardive. Qualche decennio fa si arrivava frequentemente alla metà di luglio.

Disponendo di più acqua si può contare quindi su due se non tre settimane di anticipo nella raccolta. Settimane che divengono utilissime per chi intenda effettuare seconde semine, a tutto vantaggio di una maggiore valorizzazione del terreno. Nel 2023, per esempio, v’è stata un’ottima annata estiva (aree grandinate ovviamente escluse). Raramente si era infatti visto un mais di secondo raccolto così sviluppato e produttivo. Il mais di secondo raccolto, vocato alla produzione di insilati e di pastone, ha mostrato talvolta rese di granella prossime ai 100 quintali. Un dato di tutto rispetto per un mais di seconda semina.

Uno sguardo al futuro

Non bisogna però generalizzare né brindare per l’anno in corso. Storicamente, infatti, di acqua in Italia dove di solito c’è, ve n’è tanta. L’anno scorso, invece, anche le aree tradizionalmente ricche di risorsa idrica sono andate in sofferenza a causa dei grandi invasi ai livelli minimi. Ora ci si deve quindi preparare a cercare acqua e a usarla meglio.

Un appunto diviene però necessario: il panorama fin qui tracciato va considerato di breve-medio termine. Se effettivamente le temperature dovessero crescere ancora a questa velocità ci troveremmo di fronte a un cambiamento climatico più marcato nel “lungo periodo” e così nei suoi impatti sulle rese agricole. L’allungamento delle stagioni colturali va infatti bene, ma solo se le temperature non divengono eccessive. Guardando al futuro, i modelli matematici aiutano, sì, ma allungando i tempi le previsioni esse risultano più incerte e non sempre trasferibili a scala regionale.

Comunicare di più, comunicare meglio

Nota dolente: l’informazione sui cambiamenti climatici e sui loro effetti sull’agricoltura ha peccato di una eccessiva tendenza alla drammaticità. Purtroppo, è molto facile parlare di drammi e di catastrofi, chiedendo cambiamenti nei paradigmi economici e produttivi al fine di ridurre le emissioni. Tutto sembra corretto e necessario, ma al contempo non si deve dimenticare un secondo fronte sul quale muoversi, ovvero quello della resilienza del comparto agricolo ai cambiamenti climatici stessi, cioè della forte capacità di adattamento.

Anche se le emissioni si azzerassero oggi, infatti, per alcuni decenni la situazione climatica non cambierebbe significativamente. Ciò implica che dovremmo investire anche sul fronte di più significative contromisure di adattamento da adottare per far sì che le produzioni agricole possano continuare a reggere la domanda alimentare anche a fronte di condizioni termiche e pluviometriche più estreme e sfavorevoli.

Il compito che spetta a tutti, dai ricercatori ai tecnici fino alla politica europea e nazionale, è cioè di andare oltre alla denuncia del problema, trovando soluzioni atte anche a migliorare l’adattamento del comparto agricolo ai cambiamenti climatici stessi. In sostanza, servono meno narrazioni emotive e più azioni razionali e oggettive.

Amedeo Reyneri è professore ordinario di agronomia e coltivazioni erbacee presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA) dell’Università di Torino. Oltre all’Università di Torino ha insegnamenti presso il Politecnico di Torino e l’Università di Genova. Dal 2012 al 2015 è stato vicepresidente della Società Italiana di Agronomia; è membro della International Society for Mycotoxicology e della European Society for Agronomy. Ha partecipato anche con funzioni di coordinatore a progetti nazionali e internazionali sull’agrotecnica, sulla qualità tecnologica e sanitaria dei cereali. Dal 2007 ad oggi è responsabile di Unità operativa di progetti sui cereali banditi dal MIPAAF; è membro del gruppo di esperti sui contaminanti. Dal 2019 a oggi è relatore del Tavolo tecnico del settore maidicolo dello stesso Ministero. Le attività di ricerca sono attestate da oltre 280 pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali per un totale di circa 1900 citazioni e un Author H-index pari a 27.

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