C’era una volta la pellagra

La malnutrizione fra le popolazioni rurali più povere era causa di una grave malattia, la pellagra, che si manifestava con gravi alterazioni della pelle e che talvolta poteva avere esiti fatali

La crescente disponibilità di alimenti, registratasi soprattutto nell’ultimo secolo, ha di fatto cancellato alcune patologie legate alla malnutrizione. Fra queste malattie ormai dimenticate ricade la pellagra, generata da gravi carenze croniche di vitamina PP. Una vitamina che non per caso è l’acronimo di Pellagre Prevent.

Tali carenze si sviluppavano in passato soprattutto nelle aree rurali povere. Oltre che in Italia, infatti, anche gli Stati Uniti portano nella propria storia severe tracce di pellagra, registratasi questa fra il 1907 e il 1940 soprattutto negli Stati del Sud, ove colpì circa tre milioni di americani. Di questi, in poco più di vent’anni morirono circa 100mila individui. Il tasso di letalità per la pellagra, all’epoca, era infatti intorno al 3,3%.

Ancor prima, nel 1878, la patologia era ormai divenuta tale in Italia da rientrare nelle statistiche dell’epoca, permettendo di stimare circa 100mila persone afflitte. Ovvero, oltre tremila Italiani potrebbero essere morti in quegli anni di pellagra.

La vitamina pp nell'organismo

Una volta ingerita, la vitamina PP viene trasformata dall’organismo in nicotinammide adenina dinucleotide, in acronimo “NAD”. Questa molecola è un importante cofattore metabolico alla base di molteplici processi fisiologici che avvengono nelle cellule. In caso si verifichino gravi ristrettezze cellulari di NAD si possono quindi generare disturbi di varia natura, finanche mortali.

La pellagra presenta infatti un quadro clinico detto “delle tre D”. La prima “D” sta per demenza, la seconda per dermatite, la terza per diarrea. La più vistosa delle tre era però la desquamazione della pelle, da cui deriva il nome stesso della malattia. Tali danni cutanei si manifestavano soprattutto sulle mani e sul collo, risultando più intensi nelle aree del corpo esposte al sole.

Gli alimenti che contengono vitamina PP

La vitamina PP è nota anche come niacina, o vitamina B3, ed è di tipo idrosolubile. Gli alimenti che maggiormente la contengono sono per lo più di origine animale, come per esempio il fegato di equino, bovino, ovino e suino, ma anche le carni del pollame e della cacciagione come fagiano e faraona. Nel pesce si trova in quantità significative nel pesce azzurro, soprattutto nelle alici, ma anche nel tonno e nel salmone, seppur in minor misura. Tra i vegetali la vitamina PP è contenuta a buoni livelli nelle arachidi, ma anche in un sottoprodotto dei cereali, ovvero la crusca di frumento.

Risulta quindi evidente che è impossibile sviluppare la patologia se si segue un’alimentazione diversificata ed equilibrata. Una buona abitudine che in passato era però molto difficile seguire, per lo meno in alcune aree rurali italiane come quelle venete delle province di Rovigo, Padova e Venezia, sebbene tracce storiche della pellagra si rinvengono anche in altre regioni, soprattutto del Nord Italia.

Durante il XIX secolo e gli inizi del ‘900 il mais era infatti divenuto predominante nelle pianure venete e, come visto, di vitamina PP questa coltura non ne contiene affatto. Inoltre, grazie alle sue maggiori produttività in termini di quintali per ettaro, il mais aveva anche sostituito gran parte dei cereali a paglia. Quelli che, appunto, nella propria crusca di PP ne contengono invece in quantità significative. La tempesta alimentare perfetta.

Per un metabolismo basale intorno alle duemila kcal giornaliere, il fabbisogno umano di vitamina PP è intorno a 13-14 milligrammi. Impossibile quindi per quelle popolazioni locali soddisfare tale fabbisogno mangiando solo polenta. Perché questa, purtroppo, era la base dell’alimentazione dell’epoca, per lo meno in quelle province. Solo con lo sviluppo economico del secondo dopoguerra l’alimentazione poté arricchirsi di cibi dal valore nutrizionale superiore, cancellando di fatto la pellagra dalle case italiane. E spesso anche dalla memoria.

Tradizioni che salvano vite

Il mais era la base quasi esclusiva anche dell’alimentazione delle popolazioni precolombiane dell’America centrale, area geografica dal quale il mais deriva. Eppure, la pellagra non venne mai registrata in quelle lande.

Per quali motivi la patologia non affliggeva quelle popolazioni? Non per la differente genetica, come si potrebbe erroneamente ipotizzare, bensì per una semplice tradizione di tipo culinario. Mentre in Italia il granturco veniva lasciato parzialmente disidratare e poi macinato per ottenerne farina, le culture precolombiane lo sottoponevano a un pre-trattamento in acqua e cenere, dopo averne spezzettato le cariossidi. Solo dopo molte ore di immersione in questa soluzione alcalina il mais veniva asciugato e poi avviato al consumo.

Di certo quei popoli non potevano saperlo, ma quel trattamento grossolano non conferiva solo qualche sapore in più al mais, bensì lo arricchiva anche di vitamina PP. Questa può infatti derivare dalla modifica di un aminoacido comunemente presente anche nel mais, ovvero il triptofano. Una modifica favorita proprio da quel bagno alcalino.

Purtroppo, tale tradizione centroamericana non venne importata insieme al mais nei Paesi che su questa coltura basarono poi gran parte della propria agricoltura. E gli effetti sulle popolazioni più povere furono devastanti.

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