L’editing genomico per combattere povertà e malnutrizione

L’Innovative Genomics Institute-IGI, istituto fondato dal premio Nobel Jennifer Doudna, e il CGIAR, Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale, sfruttano il potenziale dell’editing genomico per contrastare povertà e malnutrizione nei paesi a basso e medio reddito

L’editing genomico è una tecnologia economica e versatile, alla portata dei centri di ricerca no-profit dei paesi in via di sviluppo. Si rivelerà uno strumento utile per aiutare tanti piccoli agricoltori a rompere il cerchio della povertà e per migliorare la salute delle popolazioni ancora afflitte da fame e malnutrizione?

Il potenziale c’è, ne sono convinti al CGIAR, il consorzio che riunisce quindici istituti di ricerca agraria sparsi per il globo, lo stesso che nel secolo scorso è stato il fulcro della Rivoluzione verde. E ne sono convinti anche all’IGI, l’istituto dedicato alla genomica innovativa fondato dalla Premio Nobel Jennifer Doudna, la co-inventrice di CRISPR. Questi due soggetti – che simboleggiano l’impegno per lo sviluppo rurale del sud del mondo da una parte e la migliore scienza di frontiera dall’altra – hanno siglato un accordo di collaborazione della durata di cinque anni[1]. Si stima che a livello globale una persona su quattro non possa permettersi una dieta sana, ma l’innovazione genetica potrebbe aiutare anche loro, attraverso lo sviluppo di piante resistenti alle malattie, tolleranti agli stress, ricche di nutrienti, sostenibili, adatte alle necessità dei paesi a basso e medio reddito.

La partnership si è già concretizzata nella prima prova in campo, avviata presso uno dei centri del CGIAR, l’International Center for Tropical Agriculture con base in Colombia. Si tratta di varietà di riso in cui sono stati modificati due geni che influenzano il numero dei pori presenti sulla superficie delle foglie[2]. Secondo Andy Murdock, che è la voce ufficiale dell’IGI, il trial servirà a verificare se i buoni risultati preliminari valgono anche nel mondo reale. Ovvero “se una modesta riduzione della densità degli stomi è sufficiente ad abbassare il fabbisogno idrico del riso senza danneggiare le rese”.

La lista degli obiettivi che il CGIAR è interessato a perseguire con l’aiuto dell’editing, comunque, è lunga ed è stata pubblicata su Nature Genetics[3].  Oltre al riso resiliente agli stress climatici figurano banani, mais, grano, patate e yam resistenti alle malattie, ma anche il miglioramento della cassava sotto il profilo nutrizionale e ambientale. Altre piante di interesse sono miglio, sorgo e fagioli, mentre i tratti da editare vanno dalla digeribilità alla riduzione degli sprechi, dalla riproduzione asessuata (apomissia) alla resistenza alle piante parassite.

Kevin V. Pixley è il direttore del programma per le risorse genetiche del CIMMYT, il centro specializzato in mais e grano con base in Messico. Ma quando gli abbiamo chiesto quale fosse il suo progetto di editing preferito in via di sviluppo al CGIAR ha scelto le arachidi. L’idea è di ridurre il contenuto di alcune sostanze tossiche dette aflatossine, che spesso eccedono i limiti di sicurezza nei mercati africani. “Sono un grave problema sanitario, danneggiano lo sviluppo fisico e mentale dei bambini e impediscono ai produttori locali di migliorare il proprio reddito con le esportazioni”, dice Pixley. Se l’editing genomico funzionasse per le arachidi la soluzione potrebbe essere applicata anche ad altre piante come mais e sorgo che sono minacciati anch’essi dalle aflatossine.

Risolvere i problemi scientifici, però, non basterà, bisognerà superare anche gli ostacoli brevettuali e regolatori. “Sono entrambe questioni importanti, ma la proprietà intellettuale può essere negoziata e in molti casi, soprattutto quelli commercialmente meno appetibili, può essere ottenuta a costo zero”, sostiene Pixley. “Le questioni regolatorie possono essere più gravi, perché potrebbero tradursi in limitazioni al commercio, ad esempio se alcuni paesi chiudessero le porte ai cereali con il genoma editato”. Se i prodotti dell’editing venissero regolamentati allo stesso modo degli OGM, le piante editate potrebbero essere penalizzate non solo nei paesi che adottano queste regole ma anche in quelli interessati ad esportare in quei mercati. I paesi ricchi, dunque, hanno anche questo tipo di responsabilità nei confronti dei paesi a reddito medio e basso.

Per finire abbiamo chiesto a Pixley di spiegare la filosofia e l’impatto del CGIAR rivolgendosi direttamente ai lettori italiani. La sua risposta riguarda i poveri del mondo ma arriva a interessare anche noi: “Lavoriamo per assicurare che ogni agricoltore e ogni consumatore abbiano accesso ai benefici potenziali che le scienze agrarie hanno da offrire. Poterlo fare dovrebbe essere un diritto e non un privilegio riservato a chi può pagare. Il CGIAR è una rete di sicurezza per i nuovi patogeni e per i cambiamenti climatici che minacciano la sicurezza alimentare e nutrizionale. È molto probabile che dalle ricerche svolte sulle linee di mais e grano sviluppate negli ambienti tropicali di Messico, Kenya, Bangladesh, o in un altro paese in cui il CGIAR è presente, arriveranno soluzioni utili anche per i futuri problemi del mais e del grano italiani”.                          

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