La bioetica contro le fake news
Gravi le conseguenze della disinformazione a livello sociale, soprattutto in campo medico-sanitario, ma anche agricolo e ambientale. Sul tema si è espresso anche il Comitato Sammarinese di Bioetica
Cresce la percezione popolare sui danni sociali arrecati dalla disinformazione via media e social network. Dalla manipolazione delle notizie alle vere e proprie fake news, le trappole per i cittadini sono infatti cresciute nel tempo sino a rendere loro sempre più difficile distinguere il vero dal falso, l’attendibile dall’inattendibile.
A conferma sono stati coniati specifici neologismi, come infodemia, misinformazione, disinformazione, malainformazione, tutti riconducibili al termine più diffuso: fake news, o più semplicisticamente “bufale”. Il fenomeno è divenuto così pervasivo che nel 2016 l’Oxford Dictionary coniò il termine “post truth” (post-verità), eleggendolo a parola dell’anno. Con questo termine si fa riferimento ad una notizia completamente falsa, ma diffusa come autentica. Il tutto con l’intento di influenzare una parte dell’opinione pubblica sulla base di un forte appello all’emotività.
Tutto ciò ha contribuito a generare il cosiddetto “information disorder”, un fenomeno che ha creato un profondo disorientamento a livello sociale, a causa delle difficoltà nell’orientarsi fra le numerose informazioni e fonti, spesso apparentemente affidabili e credibili. Caso questo fra i più insidiosi, poiché riesce a fare percepire come “vero” un avvenimento giocando sul fatto che esso potrebbe apparire “verosimile” a una lettura poco attenta.
La verifica delle notizie e delle fonti è infatti opera da specialisti dell’informazione, divenendo una prassi molto rara quando si parli di comuni cittadini. Sono questi le vittime più fragili della disinformazione, poiché non sono generalmente attrezzate a sufficienza per elaborare in autonomia una valutazione della notizia e dell’attendibilità delle fonti. Fare fact-checking è inoltre costoso dal punto di vista del tempo necessario. Motivo per il quale viene ancor più a mancare lo stimolo alla verifica puntuale della notizia.
La denuncia contro le fake news del Comitato Sammarinese di Bioetica
La moltiplicazione delle fake news, differenziatesi nel tempo per modalità e temi, ha reso necessaria una valutazione del fenomeno dal punto di vista etico-sociale. A tal fine, si è espresso chiaramente il Comitato Sammarinese di Bioetica, organismo consultivo in relazione a questioni etiche connesse con le attività scientifiche e assistenziali.
Il suo scopo istituzionale è quello di proteggere e promuovere i diritti della persona umana, ricoprendo il ruolo di supporto tecnico e consulenza al Congresso di Stato, al Consiglio Grande e Generale e ad altri organismi istituzionali per le tematiche connesse alla bioetica e alla ricerca biomedica.
Fra le attività del Comitato rientra anche la promozione della corretta divulgazione scientifica, offrendo all’opinione pubblica informazioni validate e affidabili su materie bioetiche anche attraverso iniziative di formazione e aggiornamento.
Fra gli enti patrocinatori del Comitato rientrano Oms, Unesco, Sitox (Società italiana di tossicologia), Sif (Società italiana di farmacologia), Europea Center for Disaster Medicine, nonché l’Accademia Nazionale di Agricoltura. Le attività del Comitato abbracciano quindi ambiti molto vasti e diversificati.
Fra i documenti redatti dal Comitato ve n’è uno specificatamente dedicato alle fake news, dal titolo “La bioetica nella trasformazione della comunicazione: la conoscenza come difesa dalle fake news”.
L’infodemia: quando le notizie divengono patologiche
Sebbene le fake news abbiano una lunga storia e una casistica estremamente ampia e sfaccettata, una vera e propria “infodemia” si è potuta registrare a partire dall’attentato alle Torri Gemelle di New York, nel 2001, dilatandosi poi con la pandemia da Covid-19 e proseguendo con l’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina. Il fenomeno si è esteso anche su temi ambientali, fino agli aspetti più squisitamente agricoli legati all’insicurezza alimentare.
Quali denominatori comuni, alcuni strumenti del web come siti, blog, pagine social, tramite i quali alcuni personaggi divengono influenzatori delle opinioni, creando attorno a sé followers la cui fidelizzazione è spesso acritica, spesso in contrapposizione con i pareri degli esperti dei diversi temi del contendere.
La creazione di bolle fra loro isolate e contrapposte è stata favorita anche dal continuo processo di profilazione degli utenti del web, processo che mira poi a trasferire contenuti e notizie che siano il più possibile funzionali agli orientamenti dei singoli cittadini. Ciò aumenta la difficoltà di confronto fra posizioni fra loro lontane, esacerbando i contrasti quando si creano e alimentando i cosiddetti “bias di conferma”, ovvero la preferenza nel cercare solo le informazioni che confermino i propri convincimenti.
Attenzione alla salute
Uno dei settori più ricchi di informazioni false o comunque fuorvianti è quello legato all’alimentazione. Le cosiddette “nutrition fake”, per esempio, beneficiano di un impatto maggiore sui comportamenti alimentari dei cittadini rispetto a informazioni basate su prove scientifiche. In tal modo la disinformazione alimentare riesce a condizionare le scelte alimentari di ampie fasce della popolazione, arrecando danni alla salute nella convinzione di trarne illusori benefici.
In alcuni casi, purtroppo, tali fenomeni si avvantaggiano di media che riportano notizie su diete fantasiose che promettono risultati eclatanti. Oppure rilanciando liste di alimenti buoni e salvifici a confronto con altri descritti come dannosi o tossici. Il tutto, generando un forte radicamento sociale nelle fasce di popolazione più ingenue e impreparate.
La bioetica scende in campo contro le fake news
La gravità e il numero di casi segnalati nel tempo ha quindi generato la necessità di produrre un documento che riporti le necessarie esemplificazioni dei pericoli e dei danni prodotti dalla disinformazione. Tra questi, il Comitato Sammarinese di Bioetica pone fra i più preoccupanti quelli che comportano ricadute sul diritto alla salute, manipolando le decisioni dei cittadini in materia di cure sanitarie cui sottoporsi o meno.
Tramite il proprio documento, il Comitato propone sia la descrizione dei diversi fenomeni che contribuiscono all’information disorder, sia le modalità di contrasto più efficaci. Fra queste, merita risalto la promozione di adeguati comportamenti sociali, a partire dai media. I giornalisti sono infatti tenuti alla verifica delle fonti, ponendosi come filtro razionale alle componenti non verificate di una notizia, mondandola da eventuali contenuti impropri e fuorvianti. I giornalisti possono cioè giocare a sfavore o a favore dell’information disorder in base al grado di osservanza del proprio codice deontologico professionale.