Un satellite in orbita sopra la Terra

Oltre i confini della Terra: l’agricoltura del futuro

La strada per l’esplorazione umana dello spazio e dei suoi pianeti è costellata di piante. La possibilità di coltivare specie vegetali al di fuori dell’atmosfera terrestre è infatti la chiave per consentire agli esseri umani di sopravvivere per lunghi periodi di tempo lontano dalla Terra

Per sopravvivere sulla Stazione spaziale internazionale (International Space Station o ISS), la roccaforte dell’esplorazione umana nello spazio, una persona necessita di più di 5,5 tonnellate di risorse vitali all’anno tra cibo, acqua, ossigeno e rifornimenti che vengono inviati periodicamente dalla Terra. Gli avanzati sistemi fisico-chimici a bordo della stazione non bastano, infatti, a rigenerare le risorse necessarie al sostentamento degli astronauti. Come fare dunque nel caso di viaggi spaziali di lunga durata, come quelli che la NASA sta pianificando per l’esplorazione di Marte, che non possono fare affidamento sulla possibilità di ricevere costantemente risorse da un pianeta vicino?

Una piccola Terra nello spazio: i sistemi BLSS

Un ipotetico viaggio sul pianeta rosso non durerebbe meno di 500 giorni. Questo significa che sarebbero necessarie fino a 7,5 tonnellate di risorse vitali per la sopravvivenza di una singola persona, un bagaglio che oggi non sarebbe né tecnicamente né economicamente sostenibile. Per risolvere questo problema, la ricerca scientifica si è focalizzata sulla progettazione di sistemi in grado di replicare artificialmente l’ecosistema terrestre, che prendono il nome di Sistemi biorigenerativi di supporto alla vita nello spazio (Bioregenerative Life Support Systems o BLSS).

I BLSS sono infatti basati sull’interazione di tre categorie di organismi biologici: i produttori, come piante, cianobatterie alghe, i decompositori, principalmente batteri e i consumatori ovvero gli stessi cosmonauti. In questi ecosistemi artificiali, le piante purificano l’acqua attraverso la traspirazione, rigenerano l’aria attraverso la fotosintesi e producono cibo per il sostentamento dell’equipaggio anche utilizzando i loro stessi scarti organici, oltre a fornire un supporto psicologico indubbiamente rilevante in un ambiente estremo come lo spazio.

La realizzazione di questi sistemi e la loro implementazione futura, sia a bordo di piattaforme orbitanti e navicelle che all’interno delle colonie spaziali umane, è l’obiettivo del programma MELiSSA (Micro-Ecological Life Support System Alternative) dell’Agenzia spaziale europea, al quale stiamo lavorando con l’Università degli Studi di Napoli Federico II.

Tecnologie innovative ed esperimenti: salad machine e GreenCube

Per ciò che concerne le missioni spaziali di breve durata a bordo di piattaforme orbitanti, come la Stazione Spaziale Internazionale, vengono utilizzate piccole camera di crescita, le cosiddette salad machine, per coltivare ortaggi di dimensioni ridotte e a ciclo breve ma ricchi di micronutrienti e vitamine, quali appunto ortaggi da foglia come le insalate, che possono essere raccolti rapidamente nel giro di qualche settimana e consumati freschi dagli astronauti. Per contrastare il problema dell’assenza di gravità (microgravità) in questi sistemi, si utilizzano substrati in grado di trattenere l’acqua per capillarità e metodi per la nutrizione idrica e nutritiva delle piante opportunamente studiati per funzionare in tali condizioni. L’Agenzia spaziale italiana (ASI) ha all’attivo un progetto focalizzato proprio sullo sviluppo di una salad machine per la coltivazione di micro-ortaggi (microgreens) in microgravità a bordo della ISS chiamato Microgreens x Microgravity al quale partecipano, oltre al Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli, anche l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – ENEA, il Consiglio nazionale delle ricerche e l’Università di Roma Tor Vergata .

Un progetto simile, ma focalizzato sulle grandi piante alla base dell’alimentazione umana come le patate, è quello coordinato dalla sede torinese della società aerospaziale franco-italiana Thales Alenia Space, con la quale il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli sta collaborando alla messa a punto di un sistema modulare per la crescita di tuberi in condizioni di microgravità, le cui dimensioni dovranno essere maggiori rispetto a una salad machine.

Tornando ai piccoli ortaggi, è bene ricordare un altro progetto finanziato dall’ASI e coordinato dall’Università di Roma La Sapienza, del quale questi sono stati protagonisti: GreenCube. In questo caso, i ricercatori hanno realizzato una micro-coltivazione di crescione semi-automatizzata e l’hanno inserita all’interno di un microsatellite di dimensioni 30 x 10 x 10 centimetri, che è stato successivamente lanciato nello spazio a una distanza record di 6.000 chilometri dalla Terra. Nel corso dell’esperimento, durato in totale ventuno giorni, gli scienziati hanno raccolto un’ampia mole di informazioni che, comparate con alcuni esperimenti svolti a Terra, porteranno in futuro a una conoscenza più approfondita della crescita delle piante in condizioni estreme.

Le coltivazioni su altri pianeti: il progetto ReBUS

Molto affascinante è anche il discorso relativo alle basi che l’uomo in futuro potrà arrivare a costruire su altri pianeti e corpi celesti. In questi casi la forza di gravità, seppur ridotta, sarebbe comunque presente. Le piante, quindi, potrebbero essere coltivate utilizzando tecniche più “convenzionali”, come la coltivazione idroponica. In questi avamposti extra-terrestri, le colture dovranno essere non solo in grado di sostenere l’alimentazione umana, ma anche di rigenerare le principali risorse come aria e acqua. A questo scopo dovranno essere utilizzate colture alla base dell’alimentazione anche sulla Terra quali cereali (es. grano e riso), tuberi (es. patata e patata dolce) e leguminose (es. soia e pisello).

Un’altra interessante possibilità che è stata presa in considerazione dalla comunità scientifica è quella di utilizzare le risorse disponibili su un altro pianeta. Il progetto dell’ASI che si chiama ReBUS, coordinato dal Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli e al quale collaborano tantissime università, enti di ricerca e industriali italiani, ha come obiettivo la realizzazione di un sistema biorigenerativo per il supporto della vita umana  basato, per quanto possibile, sull’utilizzo di risorse disponibili in situ su altri pianeti. Per questo progetto, è stato preso come riferimento un BLSS basato su piante e cianobatteri estremofili come organismi produttori, mentre come decompositori vengono utilizzati batteri, alcuni microfunghi edibili e un insetto, la mosca soldato nera (Hermetia illucens) le cui larve sono commestibili e fonte di proteine. Invece di ricorrere a un normale terreno terrestre, sono stati inoltre utilizzati dei materiali (regoliti) che simulano i suoli lunari e marziani, progettati dalla NASA sulla base dei dati accumulati durante le missioni sui due corpi celesti.

Imparare a coltivare nello spazio per coltivare meglio anche sulla Terra

Per poter funzionare correttamente, tutte queste tecnologie hanno bisogno che le colture siano comunque in grado di resistere a condizioni estreme e generare un numero sufficiente di risorse. Per questo motivo, numerosi ricercatori in tutto il mondo si sono interessati sempre più allo studio delle piante e della loro resistenza in condizioni difficili. Si tratta di un numero elevato di ricerche, che ha avuto anche ricadute sulla stessa agricoltura terrestre: da dispositivi innovativi come sensori per il controllo dell’irrigazione e purificatori per aria e acqua, all’utilizzo dei LED per l’illuminazione artificiale delle piante nelle colture protette fino al vertical farming.   

Lo spazio è a tutti gli effetti un laboratorio, unico nel suo genere, che permette all’uomo di svolgere ricerche eccezionali che non sarebbero altrimenti possibili sulla Terra. Le conoscenze acquisite e le tecnologie sviluppate per la coltivazione delle piante nello spazio potranno servire a guadagnare spazio alle piante sulla Terra, consentendoci di coltivare in ambienti estremi con risorse limitate e a migliorare la sostenibilità dell’agricoltura terrestre.

Per saperne di più sulla coltivazione di micro verdure nello spazio, leggi anche il nostro articolo sul progetto Hort3Space.

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