Un campo di piante di riso

L’avventura scientifica di Vittoria Brambilla

L’atto vandalico contro il primo campo TEA in Italia non ha fermato il gruppo milanese che progetta nuove sperimentazioni e guarda agli intrecci futuri tra ricerca di base e applicata

A metà maggio la notizia dell’avvio in Italia della prima sperimentazione in campo con una pianta editata era stata festeggiata sui media (molti di voi lo avranno letto su Le Scienze o magari su Scienza in rete, oppure ascoltato a Radio 3 Scienza o Ci vuole una scienza). Meno di due mesi dopo la messa a dimora nei pressi di Pavia, il deprecabile attacco vandalico sferrato da ignoti contro le innocue piantine di riso ha fatto ancora più clamore, arrivando persino su Science. Per fortuna non tutto è andato perduto: alcune piante si sono salvate e con loro la speranza di portare a termine questa sperimentazione e di avviarne di nuove. Ne abbiamo parlato con Vittoria Brambilla, che insieme a Fabio Fornara ha sviluppato il riso editato (già ribattezzato Ris8imo) e ha ottenuto l’autorizzazione a studiarlo in campo per verificare se i ritocchi genetici effettuati con la tecnica CRISPR lo hanno reso più resistente al brusone, un’infezione fungina.

 

Cercheremo di raccogliere tutti i dati possibili con le piante salvate, poi vorrei dedicare l’autunno a preparare la notifica per il prossimo campo sperimentale”, ci dice la genetista dell’Università di Milano. Se la possibilità di sperimentare all’aperto in condizioni controllate, concessa quest’anno con il decreto siccità, verrà estesa sino alla fine del 2025, il gruppo milanese potrà mettere alla prova un maggior numero di linee di riso potenzialmente immuni a questo fungo che può danneggiare gravemente i raccolti. “In questa prima fase avevamo usato due linee diverse con mutazioni in corrispondenza degli stessi tre geni (Pi21, HMA1 e HMA2). Ma ne abbiamo tante altre interessanti, alcune con mutazioni cosiddette in frame, che non fanno saltare il quadro di lettura del DNA, dunque non eliminano la funzione della proteina ma la alterano”. Se e quando le sperimentazioni in campo diventeranno di routine, auspicabilmente grazie all’approvazione definitiva del nuovo quadro regolatorio europeo, non saranno di certo le idee a scarseggiare.

 

Brambilla e colleghi sono interessati ad ampliare le conoscenze relative al riso prima ancora che a trovare applicazioni immediate. “Abbiamo diversi esperimenti di interesse scientifico, sarebbe bello non limitarci al chiuso di laboratori e serre”, ragiona la ricercatrice. Osservare la crescita delle piante all’aperto è essenziale per ottenere risultati realistici, ma consentirebbe anche di fare più semi di quelli che si possono ottenere in camera di crescita e servirebbe a incrociare più facilmente le linee per ottenere mutanti multipli. “La lista dei desideri è lunga”, sorride Brambilla pensando agli esperimenti che le piacerebbe effettuare. Lo scopo comune è caratterizzare funzionalmente i geni mutati e studiare i processi in cui sono implicati. Per esempio l’allungamento degli internodi o i tempi di fioritura. “Osservando i mutanti all’aperto potremmo vedere aspetti della crescita che in vaso o serra non si manifestano. Ma prima vogliamo portare in campo tante linee sul brusone”, insiste la scienziata tornando col pensiero al futuro immediato.

 

L’atto vandalico non l’ha scoraggiata. “Abbiamo ricevuto il sostegno di tantissimi scienziati e agricoltori, ci sono aziende che ci hanno offerto a titolo gratuito la videosorveglianza e il sequenziamento delle piante, ci è arrivata la solidarietà delle riserie ma anche di privati cittadini, tra cui alcuni docenti delle scuole. Fabio e io siamo stati sommersi da messaggi, dall’Italia e anche dall’estero”. Un calore impensabile se gli stessi eventi si fossero verificati venti anni fa, quando ha iniziato la sua carriera accademica, nel pieno della campagna contro gli OGM. “Siamo cresciuti scientificamente in un clima di ostilità di cui faticavamo a comprendere le ragioni. Questo ci ha tarpato le ali della creatività”. Poi nel 2012 è stata inventata la tecnica CRISPR, che nella versione standard utilizza le forbici molecolari della proteina Cas9. Prima ha dimostrato di funzionare nei batteri, poi in tutte le specie in cui è stata messa alla prova, piante comprese. “Abbiamo subito avuto voglia di usarla per studiare la sensibilità al fotoperiodo e volevamo vedere come crescevano vegetativamente le nostre piante in campo. Il primo tentativo lo abbiamo fatto scrivendo una lettera al Ministero dell’ambiente nel 2016”, ricorda Brambilla. Ma allora non era chiaro se una pianta con il DNA ritoccato in corrispondenza di poche lettere, senza l’aggiunta di geni estranei, dovesse essere considerata alla stregua di un OGM. Recentemente, nel febbraio 2024, l’Europarlamento si è espresso a favore di un alleggerimento regolatorio per questo tipo di modifiche circoscritte e mirate, ma le nuove regole non sono ancora diventate legge. Intanto nel nostro paese le sperimentazioni sono rimaste ferme per due decenni, finché il Parlamento italiano nel giugno del 2023 ha deciso di aprire uno spiraglio con il decreto siccità, riconoscendo l’utilità delle nuove tecniche per migliorare la sostenibilità ambientale dell’agricoltura. Quando Brambilla e Fornara sono tornati a bussare alle autorità competenti a gennaio del 2024, questa volta ISPRA e Ministero dell’ambiente hanno aperto la porta.

 

L’incantesimo dell’immobilismo si è rotto grazie agli avanzamenti tecnologici e alla crescente consapevolezza della posta in gioco. Fermarsi proprio ora che siamo alle prese con la crisi climatica è un lusso che non possiamo permetterci, tanto più che l’intera storia dell’agricoltura è cambiamento, evoluzione. “Noi ci siamo coevoluti con le nostre piante coltivate. Molti millenni fa abbiamo iniziato a modificare loro e loro hanno modificato noi, il nostro microbioma intestinale, il nostro corpo, lo stile di vita e l’organizzazione sociale delle comunità umane”. Quello che stiamo facendo è continuare il processo, perché disporre di piante più sostenibili ci permetterà di vivere meglio. Il fatto che le nuove biotecnologie siano state ribattezzate TEA o “tecniche di evoluzione assistita” serve a ricordare che la scienza ha imparato a mimare i processi evolutivi naturali delle piante e riecheggia queste dinamiche. “Contribuiamo alla loro evoluzione, in modo che possano assistere noi”.

 

Anche gli strumenti di laboratorio continuano a evolvere, Brambilla e colleghi dunque sono impegnati a restare al passo con gli avanzamenti tecnologici. Hanno avviato una collaborazione con il laboratorio di Anna Cereseto, all’Università di Trento, per adattare alle piante le nuove varianti delle forbici genetiche vincitrici del Nobel. “Testiamo anche le tecniche che correggono senza recidere la doppia elica del DNA, in particolare il prime editing inventato a Cambridge nel Massachusetts nel laboratorio di David Liu. Le ultime versioni funzionano benissimo, sono più complicate da usare rispetto al modello standard di CRISPR ma possono innescare un’altra rivoluzione, perché consentono di controllare le varie forme che può assumere un gene, ovvero le varianti alleliche da cui dipendono molti caratteri”. Ultimamente il gruppo milanese ha usato il prime editing nella ricerca di base per cercare di modulare le dimensioni della pannocchia cambiando un aminoacido in una proteina, che in origine promuoveva la transizione fiorale ma dopo l’intervento genetico ha iniziato a reprimerla.

 

Brambilla ribadisce spesso il suo amore per la ricerca fondamentale, quella mossa dalla curiosità, perciò le chiediamo di spiegarci come vede gli intrecci tra scienza di base e applicata, quali interazioni immagina per il futuro. In un caso c’è il piacere intellettuale di illuminare per primi un angolo buio, di capire qualcosa che nessuno prima aveva compreso. Nell’altro c’è la soddisfazione di contribuire a cambiare un po’ il mondo che ci circonda. I più fortunati comunque non devono scegliere, possono avere entrambe le cose. “L’ideale sarebbe fare una nuova scoperta e applicarla, ma solo i grandi gruppi hanno la ricchezza di fondi e competenze per farlo”. Secondo Brambilla, la prossima sfida per i più forti sarà accoppiare gli studi GWAS (genome-wide association studies) con il prime editing. Ormai disponiamo di una grande quantità di genomi per le più importanti specie vegetali, perciò possiamo confrontarli e metterli in relazione con le caratteristiche fisiche espresse dalle piante. In questo modo è possibile trovare i siti da cui dipendono i caratteri di interesse e poi modificarli direttamente ottenendo gli alleli desiderati, senza dover fare incroci. Scoperte e applicazioni viaggiano insieme, in fondo anche questa è una storia di coevoluzione.

type to search