Tazzina di caffè vista dall'alto

L’eccitante storia del caffè

Coltura dalle origini africane, il caffè si è diffuso con alterne vicende in tutto il mondo. Oggi è divenuto uno dei simboli del buon gusto italiano, grazie alla specifica coltura sviluppata dal Belpaese su questa bevanda

Ristretto, lungo, espresso, macchiato o all’americana. E l’elenco di tipologie di possibili caffè potrebbe continuare a lungo. Questa bevanda è attualmente diffusa in quasi tutti i Paesi del mondo, trovando in Italia uno dei baricentri culturali più consolidati. Come per altre narrazioni in chiave storica, anche per il caffè si deve partire da un mix di fatti e di leggende che ammantano questa bevanda da secoli.

Fatto curioso è che oggi con la locuzione “caffè” si intenda indistintamente la pianta, la bevanda e il luogo di mescita.

Inquadramento botanico e aspetti agronomici

La pianta del caffè appartiene alla famiglia delle Rubiacee, ha portamento arbustivo e vuole un clima caldo e senza variazioni brusche di temperatura. Non tollera il gelo, ma vuole abbondanti piogge stagionali. Queste condizioni si trovano in zona intertropicale, ove non a caso la coltura si è espansa maggiormente.

Le piante di caffè producono bacche dapprima verdi e poi rosse, a maturità, che contengono due semi combacianti: i grani di caffè appunto. La pianta del caffè al naturale raggiunge anche i 10-15 metri di altezza, ma nelle piantagioni viene mantenuta entro i due metri circa, al fine di curarla e raccoglierla meglio.

La produzione Inizia dopo 2-3 anni. Le bacche sono mature quando sono rosse, cioè dopo 8/9 mesi dalla fioritura. La maturazione è però scalare e sulla pianta non è infrequente trovare contemporaneamente fiori, bacche verdi e bacche rosse.

Il tempo di maturazione delle bacche dipende dal clima e dalla fertilità del suolo: in generale possiamo considerare dopo 5 o 6 mesi per la specie di caffè arabica e 9-11 mesi per la specie di caffè robusta. Il caffè è anche una pianta d’ombra e quindi è coltivato in associazione a piante di alto fusto ombrose. L’uso di concimi e insetticidi, infine, dipende dalla regione di coltivazione.

Origine e leggende sulla pianta del caffè

In Europa il caffè come bevanda è arrivato molto tardi rispetto alla sua prima comparsa nei documenti storici. La pianta infatti è originaria dell’Etiopia, più precisamente nella regione di Kaffa, sul lato occidentale del Paese, il cui nome denota una forte assonanza con “caffè”. 

Alcune leggende vogliono che la scoperta degli aromi del caffè siano il frutto di un incendio dove vegetava il caffè selvatico e che le capre di un pastore si mostrassero particolarmente irrequiete pascolando sui luoghi dell’incendio. Altre leggende non potevano che ancorarsi alla religione mussulmana, infatti Allah avrebbe fatto dono della bevanda a un pellegrino perdutosi nel deserto.

Nel XV sec. il caffè, inteso come coltura, emigrò verso est, venendo coltivato nello Yemen nelle aree di Mokka e Aden, ove pare sia divenuta rapidamente la bevanda dei mistici mussulmani. Essa, come bevanda, poi migrò verso nord, lungo la sponda orientale del Mar Rosso fino a raggiunge La Mecca, divenendo da quel momento una bevanda consumata dai pellegrini.

Nel 1511 la religione islamica proibì però la bevanda, ma solo finché al caffè venne attribuita la guarigione di Maometto, il quale pativa di una temporanea infermità. Ciò fece sì che il caffè non potesse più essere bevanda proibita. Infatti, il suo uso come bevanda si espanse verso Nord e l’unico, pur rimanendo lo Yemen unico fornitore. La progressiva diffusione nelle aree mediorientali fece sì che il caffè venisse chiamato anche “il vino dei mussulmani”.

Nella seconda metà del XVI sec. ad Alessandria e al Cairo i “qahwah khan” (case del caffè) divennero luoghi pubblici conviviali dove la bevanda divenne di consumo popolare e non più appannaggio dei soli mistici. Sempre nello stesso periodo si aprì una casa del caffè a Costantinopoli, cioè su suolo europeo e, manco a dirlo, sarà poi Venezia a diffondere la bevanda sul resto del continente.

Diffusione della bevanda nel Vecchio Mondo

Fu proprio Prospero Alpini, veneziano, che nel 1584 descrisse per primo agli europei la moda turca della bevanda “caffè”. Si narra anche che le miscele di caffè diversi siano state scoperte in seguito all’infedeltà di un magazziniere del sultano. Questi, a ogni arrivo di un carico di caffè, ne prendeva un po’ e lo metteva in un suo sacco che teneva nascosto. Il sultano, accortosi dei furtarelli, fece arrestare il magazziniere e gli sequestrò il sacco quasi pieno. Usò poi quel caffè per fare la bevanda da servire alla riunione dei suoi più fedeli clienti. Nel berlo essi si meravigliarono della particolare bontà della bevanda, si complimentarono con il Sultano e ne chiesero l’origine. Al che il Sultano, capito cos’era successo, graziò il suo magazziniere e gli impose di continuare a fare le miscele.

Comunque sia la bevanda e relativa materia prima non poteva essere lasciata in monopolio allo Yemen, allora chiamato Araba felice. Infatti, i portoghesi invasero le coste yemenite e inaugurarono una via commerciale marittima, circumnavigando l’Africa, per rifornire di caffè l’’Europa. Ciò evitava i troppo numerosi carichi e scarichi delle carovane per portare il caffè sulle sponde del Mediterraneo.

In una ventina d’anni la moda del caffè conquistò l’Italia intera e si crearono i primi locali adibiti a gustare le nuove bevande esotiche. La moda destò però delle opposizioni di tipo culturale e sociale, tanto che all’inizio gli avventori dei caffè furono considerati dei libertini.

Ciò non fermò la nuova moda, la quale si diffuse progressivamente in Olanda, Inghilterra, Francia e infine in Germania. Risale al 1650 l’apertura del caffè Hoppe ad Amsterdam e al 1686 l’apertura del caffè Procope a Parigi. Il nome ha una sua ben precisa origine: il caffè “Procope” nacque per opera dell’italiano Francesco Procopio dei Coltelli.

Da semplice bevanda a simbolo culturale e intellettuale

La vicinanza della “Comédie française” fece divenire il caffè “Procope” il luogo preferito dalla gente di teatro e dalle avanguardie culturali, anche grazie al detto per il quale “il caffè faceva ragionare, il vino offuscava il cervello”.

Con Luigi XV i caffè di Parigi divennero più di 600 e furono anche luoghi di circolazione di idee prima illuministe (Voltaire e Diderot) e poi rivoluzionarie, tanto che il Procope fu frequentato anche da Robespierre, Danton e Marat e quindi contribuì alla Rivoluzione Francese. Anche Luigi XIV fu un estimatore del caffè e pure un Papa entrò nella storia del caffè: Clemente VIII (1592-1605). Prima lo definì “bevanda del diavolo”, poiché era consumata dai mussulmani, ma quando l’assaggiò pare abbia detto: “Questa bevanda del diavolo è così buona… che dovremmo cercare di ingannarlo e battezzarla”.

Il 1683 è una data importante per l’Occidente poiché fallisce l’assedio di Vienna da parte dei Turchi. Tra il bottino recuperato vi erano dei sacchi contenenti “strani e oscuri grani” e i viennesi furono informati che con questi i turchi fabbricavano una bevanda scura e aromatica (Kolschitzky). Questa pare sia l’origine dei famosi caffè viennesi dove vigeva il motto: “Dio ci diede il tempo ma della fretta non ci ha mai parlato”. Si diceva anche che il caffè dovesse essere: “nero come la notte, dolce come l’amore e ardente come l’inferno”.

Il successo che parla italiano

In Italia, nel 1720 fu inaugurato il Caffè Florian a Venezia, anch’esso luogo di patrioti risorgimentali. A questo seguì il Caffè Quadri e a Padova il Caffè Pedrocchi, mentre a Roma sorse il Caffè Greco. Copiando da Parigi, a Napoli sorse il Caffè Chantant con le famose “sciantose”. L’arrivo del caffè a Napoli ha storie contrastate, lo si vorrebbe datare prima dell’800, epoca in cui il culto del caffè fiorisce grazie anche a venditori ambulanti.

Bere caffè a Napoli divenne un rito in casa e fuori casa e, infatti, è ai napoletani che si deve la messa a punto della caffettiera napoletana che evitava che la polvere di caffè si mescolasse con il liquido d’infusione. Prima il caffè era infatti preparato alla turca, cioè un’infusione in acqua bollente, contenuta in un recipiente tipico, di abbondante polvere finissima di caffè. Il liquido cremoso si versa in una tazza dove la sospensione di polvere si deposita sul fondo. Si beve il liquido sovrastante e poi, volendo, si possono leggere i fondi del caffè. Tale pratica acquisì il nome di caffeomanzia.

In sintesi, dopo aver bevuto il caffè e lasciato il deposito sul fondo della tazzina, tassativamente bianca, questa la si capovolge e si lascia che il deposito coli lungo le pareti e che vi si secchi un po’. Dopodiché, si capovolge nuovamente la tazzina su un piattino e si osservano le formazioni, figure, simboli o segni, che i depositi hanno lasciato: ciò che si individua sul fondo si riferisce alla sfera interiore e immateriale, come l’amore gli affetti, l’istinto e le aspirazioni. Ciò che invece si trova ai lati riguarda la sfera materiale, cioè quella legata al lavoro, ai soldi, alla fortuna, o a specifici avvenimenti. Poi, in funzione del livello di localizzazione sulla parete della tazzina si possono trarre auspici circa il tempo del verificarsi: prossimo (formazione vicino al bordo), nel passato (se dei fondi si sono depositati sul piattino), nel futuro più lontano (quando i depositi sono localizzati vicino al fondo della tazzina). Si lascia al lettore interessato approfondire i significati delle varie formazioni.

Diffusione ed evoluzione della coltivazione del caffè nel resto del mondo

Neppure gli Olandesi potevano lasciare allo Yemen il monopolio della produzione del caffè. Quindi trafugarono qualche pianta e la trasferirono nell’isola di Java, ove in poco tempo acquisirono il monopolio del commercio del caffè che conservarono fino al 1740, quando i francesi, il cui Re Sole aveva ricevuto in dono una pianta nel 1714, non fecero loro concorrenza con il caffè prodotto nelle isole antillesi e ne divennero leder. Solo nel 1753 Linneo lo classificò dandogli il nome di Coffea arabica.

Gli Olandesi allora pensarono di sfruttare anche loro la loro colonia del Suriname per la coltivazione. Da qui, sempre di contrabbando, il caffè si diffuse in Guyana francese e infine in Brasile. Da qui, verso il 1920, passò in Perù, poi in Venezuela e infine in Colombia, che divenne il maggior concorrente del Brasile.

Di quest’epoca anche la caffeicoltura africana, prima in Kenya e Uganda, colonie inglesi, poi in Madagascar, colonia francese. L’Africa francofona divenne però caffeicola solo dopo la Seconda guerra mondiale, epoca nella quale le coltivazioni di caffè si diffusero anche in Indonesia e in Vietnam. Questo Paese ha peraltro superato la Colombia nella produzione in quanto la coltivazione è stata adattata ad ambienti deltizi.

La caffeicoltura dei possedimenti francesi, che prima della Rivoluzione soddisfaceva i bisogni di caffè dell’Europa, fu pressoché abbandonata a seguito dell’abolizione della schiavitù, nel 1794. Successivamente, con il Blocco Continentale decretato da Napoleone, in Europa non arrivò più né zucchero né caffè. Fu l’epoca d’oro dei cosiddetti “surrogati”, ottenuti tramite torrefazione di cereali e di radici di cicoria in particolare.

Le prime avversità fitopatologiche

Negli anni successivi sarà il Brasile a divenire il maggiore esportatore di caffè, tanto che nel 1850 soddisfaceva il 50% dei bisogni e nel 1900 il 75%. Questa presa dei mercati del Centro e Sud America è anche la conseguenza della distruzione delle coltivazioni caffeicole olandesi a Ceylon e Java da parte di un fungo microscopico (Hemileia vastatrix) che attaccava le foglie.

Per correre ai ripari fu gioco forza cercare di trovare specie nuove di Coffea capaci di resistere al flagello. Esse furono cercate in Africa, continente d’origine della pianta. Qui vi era la specie liberica, caratterizzata da grossi semi, che veniva coltivata appunto in Liberia dagli schiavi liberati. Questa specie di caffè fu trasferita a Java, ma ben presto si dimostrò anch’essa sensibile al fungo. Ripartì quindi la ricerca e fu trovata una specie nuova, la Coffea canephora, in Africa Centrale che rispose all’esigenza di diversificare le specie coltivate per resistere al fungo. Questa specie, però, era molto polimorfica e diede origine a dei tipi diversi quali: C. robusta, C. niaouli, C. houilou ecc. La specie “robusta” divenne poi sinonimo accettato di C. canephora.

Il mercato attuale del caffè

Le specie arabica e robusta si dividono il mercato in ragione del 60 e 40% rispettivamente. L’arabica si adatta meglio alle zone più calde e agli altipiani delle zone tropicali. Produce chicchi piccoli e molto aromatici alla torrefazione, come pure contiene meno caffeina della specie robusta. La sua varietà più rinomata è la “Moka”.

La specie robusta, invece, è più resistente alle malattie e si adatta a essere coltivata fino a 800 metri di altitudine. Produce bacche un po’ più piccole della arabica e chicchi più aromatici e ricchi di caffeina alla torrefazione. Per quanto più produttiva, la robusta è meno delicata della arabica.

Attualmente l’America Centrale concorre alla produzione mondiale per il 15% (pressoché tutto arabica), mentre l’America del sud per il 49%. In Brasile sono presenti entrambe, arabica e robusta, mentre in Colombia si coltiva solo arabica. Seguono l’Asia e l’Africa, rispettivamente con il 23% e il 13%, con la produzione tra le due varietà anch’essa ripartita.

In totale, di caffè se ne producono circa 115 milioni di sacchi, di cui 40 sono di robusta.

NOTE

Molto di quanto riferito è tratto dal libro di Benoit Daviron e Stefano Ponte “Le paradoxe du café” – Editions QUAE.

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