L’insostenibile impatto dell’agricoltura sul clima

Clima e agricoltura sono legati a doppio filo: se, da una parte, gli impatti climatici sul suolo sono seri e rischiano di compromettere le capacità produttive dell’agricoltura, dall’altro lato il sistema alimentare globale sta contribuendo fortemente al cambiamento climatico.

Esistono gli effetti del cambiamento climatico sull’agricoltura ed esistono gli effetti dell’agricoltura sul cambiamento climatico. Per poter ragionare sui primi non possiamo esimerci dalla piena comprensione e limitazione dei secondi. In altre parole, dobbiamo chiederci come i nostri sistemi produttivi, nazionali e internazionali, stanno distruggendo l’ambiente e come modificarli per renderli sostenibili.

L’agricoltura e le tecniche di coltivazione attuale del suolo sono responsabili di circa il 16% delle emissioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto a livello globale. Come? Guardiamo all’Italia. Osservando le coltivazioni della Pianura Padana possiamo facilmente renderci conto degli effetti dei metodi di lavorazione della terra: nonostante la fertilità e ricchezza del terreno di sostanza organica, gli interventi meccanici (es. aratura, erpicatura, diserbo meccanico), rivoltando la terra, provocano l’esposizione della sua composizione organica all’aria aperta e quindi la sua ossidazione, da cui consegue l’emissione di CO2 che a sua volta, provoca l’effetto serra. Il contenuto di sostanza organica nei suoli in Pianura Padana è infatti ben al di sotto del 2%.

Una delle contromisure più efficaci per ora adottate contro il depauperamento del suolo risiede nell’utilizzo sicuro della chimica e delle tecniche di agricoltura conservativa che non prevedono aratura ed erosione del suolo. Ad oggi, però, l’impoverimento dei terreni e la loro perdita di materia organica, unitamente agli effetti del cambiamento climatico, stanno provocando delle modifiche strutturali alla geografia agricola del nostro Paese.

Alcuni fenomeni ce lo dimostrano: nelle campagne siciliane da qualche anno sono comparse coltivazioni di frutti esotici: mango, papaya, avocado, per dirne alcuni. Nell’orto botanico di Palermo da un paio di anni è attiva l’unica produzione italiana di caffè. In Puglia sono cominciate a crescere le coltivazioni di cotone, in Trentino-Alto Adige la raccolta di ciliegie, che oggi si prolunga di oltre un mese rispetto ai ritmi tradizionali, e gli ulivi lungo la via Emilia.

I cambiamenti imposti nelle coltivazioni così come quelli relativi al fluire delle stagioni rispondono alle dinamiche di un processo senza dubbio globale, ma che può trovare nella rigenerazione della terra e dei metodi che utilizziamo per trattarla, una chiave di soluzione. A livello sistemico, ad esempio, oggi sappiamo che il 60-70% dell’agricoltura globale serve per sfamare animali da allevamento e da pascolo. L’industria delle carni e le deforestazioni provocate per liberare terreni destinati agli allevamenti sono responsabili di oltre il 70% della distruzione dell’Amazzonia, uno dei principali polmoni del nostro pianeta.

Senza un cambio dei modelli di sfruttamento e scopo di utilizzo dei terreni, senza la rigenerazione del suolo e dell’ecosistema che lo nutre non allenteremo il cappio che stiamo stringendo intorno al pianeta. Un monito che oggi deve risuonare chiaro, dall’equatore alle pianure d’Europa.

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