Coltura del batterio salmonella sotto una lente d'ingrandimento

Sicurezza Alimentare: l’approccio europeo a modello Italia

Come la necessità di creare un modello di valutazione e gestione del rischio in campo alimentare diede vita a EFSA, l’Authority per la sicurezza alimentare con sede a Parma

Alla fine degli anni ‘90 l’Europa progettò la creazione di un modello di valutazione e gestione del rischio in campo alimentare. Da qui nacque EFSA, l’Authority per la sicurezza alimentare, con sede a Parma. La Commissione UE decise quell’impianto istituzionale ispirandosi al modello del nostro Paese, che fin dalla sua nascita aveva legiferato e tradotto in pratica un sistema di sanità e sicurezza alimentare efficace e particolarmente attento alla produzione alimentare.

Introduzione

L’Italia, una volta tanto, ha fatto da battistrada al modello organizzativo UE per la sanità, il benessere animale e la sicurezza alimentare. Le nostre prime e ancora incerte tappe sono iniziate addirittura nel primissimo dopoguerra e verso la fine degli anni ’80 il nostro Paese disponeva già di un innovativo (per quel tempo) impianto di valutazione e gestione centralizzata del rischio e la questione food safety era praticamente già impostata, ovviamente con le sensibilità ed i criteri di allora.

Il modello prevedeva un centro nevralgico nel Ministero della sanità con due propaggini ramificate: una, della valutazione del rischio, nei centri di ricerca, diagnosi e valutazione (del rischio), e una seconda, della gestione, nelle regioni e nelle province deputate a salvaguardare la sanità degli animali e la conseguente sicurezza degli alimenti prodotti.

Questa nostra sensibilità è stata successivamente messa alla prova delle oltre 200 malattie umane di origine alimentare, riconosciute da tempo dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), tutte causate da batteri, virus, parassiti e sostanze chimiche veicolate col cibo.

Molte di quelle malattie sono state debellate nel nostro Paese mostrando che l’impianto di allora era un modello efficace. La stessa Organizzazione continuò a battere il chiodo in molteplici occasioni, sottolineando che questi malanni hanno una dimostrata ricaduta negativa non solo sulla salute umana, bene supremo dei soggetti, ma anche sull’intero assetto socio-economico delle comunità, a causa delle notevoli perdite di vita, di produttività, di limitazione di spostamenti, di gravi turbolenze e danni sui mercati e sulle relazioni agro-industriali in generale.

Ancora l’OMS ha spesso affermato che 1 persona ammalata su 10 contrae una malattia dovuta a scarsa biosicurezza alimentare, a casa o fuori, col risultato di oltre 400 mila decessi/anno, soprattutto nei più piccoli, sotto i cinque anni, come sono quei 125 mila bambini che muoiono annualmente proprio a causa di malattie alimentari.

Per tutte queste ragioni l’OMS e la FAO, l’Organizzazione mondiale per i prodotti alimentari e l’agricoltura che ha sede a Roma, hanno creato INFOSAN, una piattaforma che dal 2010 raggruppa le organizzazioni sanitarie nazionali di 160 Paesi con lo scopo di raccogliere e mostrare dati, fornendo indicazioni legate alla produzione e al consumo di cibo.

Sotto tutte queste spinte le autorità sanitarie europee hanno creato ultimamente una strategia che ha come target quella che in inglese viene chiamata food safety e che rappresenta la materia che studia, valuta e mette in guardia sui criteri di bio-sicurezza sanitaria dei prodotti alimentari e di tutela della salute.

L’Europa del Libro Bianco sulla sicurezza alimentare

Nel Regno Unito, all’inizio degli anni ’80, comparve nelle bovine di quell’area una strana malattia nervosa che venne chiamata subito “della mucca pazza”. Il malanno portava a paralisi degli arti, incapacità a reggersi in piedi e morte lenta degli animali. La sindrome nervosa fece subito drizzare le antenne ai ricercatori della medicina veterinaria e successivamente a quella umana, che sospettarono subito di un parallelismo animale-uomo. Il mondo scientifico entrò immediatamente in allarme e la etichettò come Encefalopatia spongiforme bovina o BSE, dovuta alla presenza di una strana proteina chiamata prione che determinava la “disgregazione” del materiale cerebrale bovino.

Gli studi collegarono questa sindrome animale ad un potenziale interessamento ad un’altra malattia umana ben conosciuta e simile. Nel frattempo, gli studi della malattia neurologica di quelle bovine portarono alla ricerca di altri casi e dopo poco tempo la crisi sfociò in un focolaio nazionale di malattia zootecnica, con diverse centinaia di animali coinvolti, tant’è che agli inizi degli anni ’90 gli inglesi decisero l’abbattimento di tutti i bovini adulti (alcuni milioni) del Regno Unito.

Nel mentre venne provato e consolidato scientificamente il parallelismo tra la malattia animale e quella umana, entrambi dovute alla stessa causa, un prione identico che causava la malattia nell’uomo già conosciuta come Sindrome di Creutzfeldt-Jakob[1]. La malattia trasmessa con l’ingestione di materiale nervoso bovino provocò la morte di ben 207 persone, comprese due donne italiane che avevano soggiornato per diverso tempo nel Regno Unito. Tutte avevano ingerito alimenti ottenuti dalle frattaglie nervose, come cervello e fasci nervosi intestinali, di animali macellati nei territori inglesi, che avevano a loro volta ingerito farine animali mal prodotte in quel paese negli anni ‘80.

Dieci anni dopo, nel 1999, scoppiò in Belgio un altro scandalo alimentare, quello della diossina, una sostanza tossica che permane a lungo nell’organismo e provoca un’alterazione del sistema endocrino, con gravi danni all’apparato riproduttivo umano e crisi di sviluppo organico. L’esposizione era stata in quel caso dovuta al consumo di carni e latte di animali vissuti nel circondario di uno stabilimento dal quale era fuoriuscita diossina.

Ma l’Unione Europea fortunatamente stava già correndo ai ripari, aggiornando il suo Sistema di salute e sicurezza alimentare, pensando a un modello innovativo, più compatto e focalizzato, chiamandolo della Sicurezza Alimentare o Food Safety. L’idea era partita dall’imminente pubblicazione di una decisione politica chiamata “Libro Bianco sulla sicurezza degli alimenti”, una pubblicazione avvenuta esattamente il 12 gennaio del 2000.

Il documento, destinato agli addetti, diventò immediatamente la pietra miliare del sistema e determinò due anni dopo la nascita di EFSA, l’Authority di Parma, legata al Sistema DG SANTE a doppio filo come Agenzia scientifica della Commissione Europea e organismo di consultazione e riferimento di tutta la materia legata all’alimentazione.

Ma tutto quest’impianto europeo era nato in poco tempo da un ragionamento ben preciso: la necessità di concretizzare un modello progettato per applicare le regole legate all’alimentazione e la creazione dei criteri per una nuova concezione di sicurezza alimentare, colmando i vuoti con un livello istituzionalmente superiore, centralizzato ma periferico nell’attività, da rafforzare al più presto. Proprio da qui sono nati, nel quartier generale di Bruxelles, prima la DG SANCO (poi DG SANTE) e poi la sua agenzia EFSA.

Il governo europeo della Food Safety

A Bruxelles tre sono i pilastri che la DG SANTE ha riservato alla sicurezza alimentare:

  • Valutazione, riservata ad EFSA.
  • Gestione, riservata esclusivamente alle sue tre Direzioni Generali dedicate alla sanità animale e alla food safety che si interfacciano direttamente con le omologhe strutture degli Stati membri.
  • Successivamente, una trasparente e corretta Comunicazione del rischio in campo alimentare, anche questa in comunione con EFSA.

Quest’ultimo pilastro, ultimamente rinforzato, prevede obbligatoriamente la disponibilità di tutti i dati raccolti. In pratica, tutti i dati che pervengono all’Agenzia, a esclusione di quelli “sensibili”, ovviamente, sono messi a disposizione di chiunque ne faccia richiesta dopo aver dimostrato la loro reale necessità dell’interessato.

Come s’è detto tutti e tre questi pilastri sono fulcro e azione delle tre Direzioni Generali di Bruxelles, posizionate dentro a questo “grande ministero” qual è la DG SANTE, interfaccia dei 27 Paesi dell’Unione. Come prevedono le norme europee, a partire dal Libro Bianco per giungere al Regolamento 178/2002, istitutivo dei criteri per la Sicurezza degli alimenti, è stabilito che un sistema equivalente debba essere impiantato nei singoli Paesi.

Per questo motivo, a cascata, tutti i 27 Paesi dell’Unione hanno rimodulato o creato ex-novo il loro apparato su questa materia. Tutti e 27 Stati hanno l’obbligo d’avere un’analoga struttura, dimensionata rispetto alle loro capacità, in maniera da ponderare i pericoli dei loro processi produttivi, individuare i rischi, vigilare sulle produzioni e interfacciarsi alla bisogna con le autorità di Bruxelles e l’EFSA nel caso in cui il rischio sia particolarmente elevato o travalichi i confini del loro Paese, diventando una minaccia, un rischio per gli altri e necessitando di disposizioni o consulenza dalla DG SANTE o dall’EFSA in caso di un focolaio di malattia in atto.

Quando si trattò di istituire questo grande e articolato apparato europeo, alla fine degli anni ’90, che sovrintende e coordina le Autorità competenti dei singoli Stati il modello che fu preso più in considerazione fu il modello italiano, che annoverava una lunga storia di attenzione ai rischi sanitari incidenti sul settore alimentare ma che stava superando efficientemente la vicenda mucca pazza e, prima, aveva superato quella della decontaminazione del disastro creato con la dispersione della diossina sul territorio del Comune di Seveso.

Quest’ultimo, un disastro difficile da dimenticare, fu talmente sofferto ma velocemente affrontato che il sito americano CBS lo inserì tra le 12 peggiori catastrofi umane e ambientali di sempre[2], con gravi perdite sanitarie per l’uomo, la contaminazione di terreni, di vegetali e di animali allevati in quella zona.

Organigramma della DG SANTE

Fig. 1: Organigramma della DG SANTE (2023, organisation-chart-dg-sante_en.pdf). Direzioni Generali E,F,G deputate alla Sicurezza, rispettivamente per la Sicurezza, la Vigilanza e la Sanità

Il modello italiano per la sicurezza alimentare

Il nostro modello di tutela della salute in campo alimentare ha una lunga storia, pensata e partita già agli inizi del secolo scorso e successivamente concretizzatasi con varie altre iniziative, disposizioni e passi in avanti in campo sanitario. Una delle prime di queste iniziative nasce addirittura durante la Seconda guerra mondiale, quando, tra il 1941 ed il 1945, prende corpo un primo tassello del futuro sistema, a tutt’oggi estremamente operativo e conosciuto nel mondo veterinario internazionale: l’Istituto Zooprofilattico sperimentale di Teramo.

L’obiettivo di quegli anni era uscire dalla falcidia di molte malattie animali, alcune delle quali diventate endemiche soprattutto nelle mandrie di ruminanti della pianura padana, come Tubercolosi, Leucosi bovina e Brucellosi, la prima e l’ultima sono due zoonosi che colpivano anche l’uomo per consumo di carne, latte e latticini.

A seguire negli anni seguenti nacquero altri nove Istituti, uno ogni due-tre regioni, che sono diventati importanti Centri di Referenza sanitaria nazionale o anche internazionale per specifiche malattie animali. Tutti questi istituti sono di fatto Centri di Valutazione del rischio, dove vengono diagnosticate, seguite e tracciate malattie scoppiate sul territorio.

A questo primo, potente segnale di attenzione sanitaria per la tutela alimentare, ne seguirono altri due: prima un Regolamento di Polizia veterinaria del 1954, decreto 320[3], che dettava regole e procedure dei sanitari in caso di forme morbose del bestiame con riflessi sull’alimentazione, recentemente abrogato da un provvedimento europeo; poi, una decina d’anni dopo, una legge, diventata anch’essa pietra miliare del sistema: la legge 30 Aprile 1962, numero 283[4] che riguardava la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, solo ultimamente parzialmente modificata, che regolamentava l’intera materia alimentare.

Nel frattempo il Ministero della sanità (oggi della Salute), dopo aver messo mano alla valutazione del rischio, si mise all’opera, alla fine degli anni ’70, sulla gestione dei rischi sanitari, compresi quelli alimentari, trasformando le vecchie condotte veterinarie (e mediche) in Unità sanitarie locali, con collegamento costante delle due branche della medicina e dei loro operatori, medici e medici veterinari in costante collegamento, che comprendevano la vigilanza sui malanni, compresi quelli alimentari, e gli interventi sul territorio o le cure in ospedale.

Già allora, proprio dal 23 dicembre 1978, con la legge 833[5], il nostro Ministero cambia radicalmente strada, istituendo e realizzando delle vere e proprie braccia operative territoriali, deputate al coordinamento gestionale della sanità periferica, compresa la sicurezza alimentare.

Al termine di questa attività, l’operatività legata alla salute si dipanava dal centro verso la periferia. Tutto il lavoro di valutazione veniva infatti demandato agli istituti di ricerca, di analisi e di diagnostica, come le università, i centri di studio e di analisi e, soprattutto, gli istituti zooprofilattici, da sempre punto di riferimento per la considerevole mole di produzione alimentare del nostro Paese. La gestione delle problematiche sanitarie ed alimentari veniva invece lasciata alle strutture di base sparse sul territorio.

In estrema sintesi, alle Direzioni Generali del Ministero venne affidato il compito di coordinare l’applicazione delle regole e di fornire le indicazioni per le rispettive propaggini periferiche delle Unità sanitarie locali di ogni provincia. Ciò sulla base della valutazione effettuata dagli istituti predetti.

Conclusioni

L’assetto istituzionale attuale è stato reso nel tempo praticamente uguale su tutto il territorio dell’Unione Europea. Ciò grazie all’entrata in vigore prima del Libro Bianco del 2000, seguito dal Regolamento 178/2002 sui requisiti generali della legislazione alimentare, nonché dall’istituzione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Infine, si è aggiunto anche il Regolamento 2019/1381 — Trasparenza e sostenibilità dell’analisi del rischio dell’Unione nella filiera alimentare[6].

A seguito di tali innovazioni, ogni Paese ha quindi sviluppato il proprio apparato di valutazione del rischio, con istituti per la ricerca, studio e diagnosi delle malattie alimentari, e poi quello di gestione del rischio, attraverso le Unità sparse sul territorio.

Di fatto, con l’entrata in vigore del mercato unico europeo del 1° gennaio 1993, che consente la libera circolazione delle merci, anche la sicurezza alimentare è diventata un tema comune, normato e indispensabile in tutti i 27 Paesi europei. Per questo motivo l’UE ha deliberato un riferimento comune nella DG SANTE di Bruxelles, chiedendo ai singoli Paesi di attuare in maniera uniforme politiche di sicurezza alimentare ispirate alle regole UE e comuni fra tutti gli Stati. Ed è per questo che sono state predisposte diverse piattaforme di riferimento come INFOSAN (Raccolta dati sanitari di malattie alimentari), RASFF (Sistema rapido di allerta per alimenti e mangimi), ed FVO-Health and Food Safety. Quest’ultimo sito a Grange, in Scozia, ove opera l’Agenzia europea per la vigilanza ed il controllo sulle regole dell’intero Sistema.

Il tutto, a garantire da un lato un funzionamento armonico del mercato e dall’altro di segnalare situazioni pericolose per la salute dei consumatori.

Anche l’Italia ha un apparato simile, ma con tre differenze sostanziali, partite in epoca antecedente a quella europea:

  • La prima è stata quella della creazione degli istituti zooprofilattici, partiti quasi cent’anni fa, come baluardo sulla Valutazione “interna” del rischio.
  • La seconda con la numerosa schiera di strutture operative di gestione in ogni Provincia (ASL o AUSL, un centinaio), a cui si sono aggregati negli anni ’90 gli Uffici Veterinari per gli Adempimenti Comunitari (UVAC), vere e proprie sentinelle periferiche del Ministero salute. Questi Uffici periferici del Ministero svolgono il compito di effettuare controlli ufficiali su animali e merci provenienti degli Stati membri dell’Unione. In pratica un ulteriore filtro “in arrivo”, sullo stato di materie prime da trasformare, a garanzia della qualità, salubrità e garanzie sanitarie delle nostre lavorazioni e delle produzioni finali.
  • Infine, una terza differenza è che il nostro Paese, a ulteriore garanzia per i consumatori, ha creato sessant’anni fa un Comando Carabinieri per la Tutela della Salute NAS (Nucleo antisofisticazioni e Sanità). Questo corpo militare, nato nel 1962 e dislocato in una quarantina di Comandi periferici, affianca il personale di Gestione del rischio e contribuisce alla vigilanza sulle filiere produttive ma svolge anche il compito repressivo di frodi o truffe sulle produzioni e nei prodotti alimentari. Va anche orgogliosamente detto che in questi ultimi anni i Carabinieri NAS sono stati ospitati anche all’estero per mostrare il loro operato e per un ‘ipotesi di progetto sovrannazionale su modello di quello italiano. Un tassello che dimostra ancora una volta la bontà del progetto Italia.
Organigramma del Ministero della Salute italiano

Fig. 2: Organigramma Ministero della Salute, Roma. Direzione generale Sanità Animale e Direzione generale per l’Igiene e la Sicurezza degli alimenti e la nutrizione

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