Un trattore al lavoro in un campo

Verso un’agricoltura conservativa per una gestione sostenibile degli agroecosistemi

Il sistema agroalimentare contemporaneo deve adattarsi sia ai bisogni dei consumatori che agli obiettivi di sostenibilità delle politiche europee. L’agricoltura conservativa può rappresentare un processo di gestione alternativo, in grado di rispondere positivamente su entrambi i fronti

L’agricoltura rappresenta un pilastro della nostra economia fortemente spinta da un sistema di mercato che stabilisce quanto e cosa produrre in base ai continui stimoli dei consumatori e della politica agricola comune. Questo approccio ha generato nel tempo una forma dominante di agricoltura, definita intensiva, dove vengono esasperate alcune pratiche agronomiche per supportare una produttività agricola elevata a prezzi competitivi e a discapito dello sfruttamento dei terreni con conseguenze gravissime per la loro sostenibilità, quali ad esempio il decremento della sostanza organica e la conseguente desertificazione, l’inquinamento idrico e atmosferico e la perdita di biodiversità.

La mitigazione di queste problematiche richiede l’individuazione di opportune tecniche agronomiche basate su un approccio integrato per assicurare la gestione sostenibile degli agroecosistemi e la loro salvaguardia. Tutto ciò in linea con gli ambiziosi obiettivi della politica europea che, attraverso il green deal, mira a mantenere inalterata la produttività agraria, preservando le risorse naturali e contrastando i cambiamenti climatici. In questo contesto, l’agricoltura conservativa rappresenta un sistema di gestione agronomico alternativo alla gestione “convenzionale” degli agroecosistemi. Sebbene i benefici agroambientali rappresentino un punto di forza dell’agricoltura conservativa, per la quale è adottata con successo in vaste aree del mondo, la sua adozione in Europa, e nello specifico in Italia, è ancora relativamente ridotta e limitata a ridotte aree gestite a seminativi, foraggere e specie arboree.

Tale limitazione è legata al fatto che l’agricoltura conservativa è comunemente e impropriamente associata a un concetto di semplificazione della gestione agronomica, oltre che all’attuazione di una politica agricola non in grado di incentivare in maniera incisiva un cambio nelle pratiche colturali atte a favorirne la diffusione.

Agricoltura conservativa per una maggiore sostenibilità

La gestione sostenibile degli agroecosistemi attraverso l’adozione di pratiche di agricoltura conservativa deve passare necessariamente attraverso la consapevolezza degli agricoltori che si tratta di un sistema di gestione agronomica complesso, basato sull’integrazione di pratiche che vedono alla loro base:

  • Un’adeguata scelta delle rotazioni agrarie.
  • Un’opportuna copertura del terreno attraverso la valorizzazione dei residui colturali e il necessario ricorso alle colture di copertura come accorgimento tecnico per la gestione della fertilità dei suoli agrari nel periodo di “incolto” tra due colture da reddito principali.
  • L’adozione di metodi di lavorazione del suolo mirati al minimo disturbo (minima lavorazione o non lavorazione), avendo cura di non invertire gli strati del terreno.

Numerosi sono i servizi agroecologici che vengono apportati tramite una gestione “conservativa” dell’agroecosistema, supportando una serie di benefici agro-ambientali, economici e climatici. Infatti, un corretto avvicendamento colturale associato alla copertura superficiale del suolo in assenza di lavorazioni profonde genera le condizioni ottimali per migliorare la struttura del suolo e aumentare la stabilità degli aggregati.

Benefici per il suolo e per l’ambiente

Gli aspetti di cui sopra garantiscono una corretta infiltrazione delle acque per ripristinare il contenuto idrico delle falde sotterranee e, contemporaneamente, i residui superficiali creano una pacciamatura organica che riduce notevolmente l’evaporazione di acqua dal terreno riducendo, di fatto, i fabbisogni idrici delle colture agrarie e rendendo le produzioni più stabili, particolarmente nelle annate più siccitose.

Inoltre, in queste condizioni, la sostanza organica nel terreno è meno assoggettata a mineralizzazione per opera dei microrganismi edafici, riducendo le emissioni in atmosfera di gas serra, principalmente di anidride carbonica.

Infine, interessanti sono anche i benefici economici ottenuti dall’adozione di pratiche di agricoltura conservativa, in quanto la riduzione delle lavorazioni profonde consente un sensibile abbattimento dei costi colturali in termini di ore di lavoro, consumo di carburanti e dell’utilizzo delle macchine. Inoltre, un terreno non lavorato è facilmente accessibile rispetto un terreno lavorato, rendendo più tempestivi ed efficaci gli interventi colturali.

Agricoltura conservativa: investimenti di lungo periodo

A fronte dei vantaggi sopra elencati, l’aspetto economico rappresenta anche il “tallone d’Achille” dell’agricoltura conservativa, infatti, la conversione richiede la sostituzione del parco macchine aziendale con attrezzature specifiche sviluppate per operare in condizioni di suolo non lavorato e in presenza di abbondanti residui superficiali, generando un sensibile aumento dei costi iniziali.

Sebbene la meccanica agraria abbia portato all’ideazione di numerose macchine per l’agricoltura conservativa quali, ad esempio, il roller crimper, le seminatrici e le trapiantatrici su sodo, attualmente il loro acquisto è ancora molto limitato, anche da parte degli agromeccanici, che sono la cartina di tornasole delle tendenze in agricoltura, in quanto rappresentano dei costi fissi che necessitano di profonde valutazioni economiche prima del loro acquisto in base anche alle effettive richieste di utilizzo.

Tuttavia, è da specificare che l’incremento dei costi iniziali è compensato, nel lungo periodo, dai minori costi legati a un parco macchine ridotto e al minor tempo di utilizzo rispetto ad un’azienda “convenzionale”. Pertanto, per facilitare la conversione delle aziende agricole verso una gestione sostenibile degli agroecosistemi, è necessario agire sulla formazione degli imprenditori agricoli responsabilizzandoli sull’importanza di gestire il processo produttivo in un contesto di tutela dell’ambiente, dove i maggiori costi sostenuti dall’azienda per sostenere la transizione, si traducono in benefici per la società.

Tale transizione deve essere adeguatamente supportata da azioni normative, anche a seguito della maggiore attenzione rivolta al carbon farming e al contrasto ai cambiamenti climatici, in grado di incentivare la voglia di cambiamento degli imprenditori agricoli, oltre che da un’adeguata disseminazione dell’informazione e dei risultati, soprattutto nelle fasi iniziali della transizione, operata da qualificate figure professionali.

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