Un microscopio

Come distinguere scienza e pseudoscienza? Il valore è dato dal metodo

Cosa differenzia davvero la scienza moderna dalla pseudoscienza? E perché il metodo scientifico ha un ruolo centrale in tutto ciò? Ne abbiamo parlato con Marco Ciardi e Alberto Peruzzi dell’Università di Firenze.

La scienza è lo strumento migliore per conoscere la realtà, che ci viene descritta in maniera certa; al tempo stesso, però, è uno strumento che non dà mai certezze a proposito delle grandi domande”, ci dice Marco Ciardi, storico della scienza e professore ordinario all’Università di Firenze. Da anni la scienza e il metodo scientifico sono sotto attacco. In tv, nel dibattito pubblico. La pandemia, accompagnata da discussioni su presunti complotti e da un florilegio di pseudo-esperti, ha accelerato un processo in corso da tempo.

Il problema, spiega Ciardi, che ha dedicato un libro alla “Breve storia delle pseudoscienze” (Hoepli), è la difficolta nel “distinguere fra la vera scienza e la pseudoscienza”. Anche perché la pseudoscienza “assomiglia alla scienza. Le pseudoscienze sono piene di dati, di numeri. Anzi, ne hanno ancora di più: ancora più dati, ancora più evidenze. E la realtà come al solito è molto complessa: c’è chi è in buona fede ma ci sono anche i manipolatori. In più esiste una gran quantità di persone che non ha gli strumenti adatti per districarsi nel caos delle informazioni. Per questo, serve un lavoro di educazione continuo, a partire dalla scuola, per imparare a capire la differenza fra ciò che è vero e ciò che è verosimile”.

Un lavoro complesso

Un lavoro complesso, spiega Ciardi, perché continuamente intervengono più piani, che vanno oltre il pensiero razionale a cui vorremmo affidarci per prendere le decisioni: nel dibattito pubblico si mischiano aspetti psicologici personali, desideri di rivalsa contro il sistema, esiste la mentalità complottista, eccetera eccetera.

Serve fiducia nel metodo scientifico ma per averla bisogna “conoscere il modo in cui funziona la scienza e quindi sapere come è nata. Serve una comprensione storica della scienza. Negli insegnamenti scolastici questo aspetto manca. Ma capire il modo in cui la scienza opera è una questione di educazione civica”, dice Ciardi. Il che non significa sostituirsi agli scienziati, anzi. La tentazione di dire la propria su qualsiasi argomento, anche per gli specialisti, è forte: se so tutto su un determinato tema, allora mi sento autorizzato a parlare di altro fino, magari, a straparlare.

Una impostazione che contribuisce ad alimentare la confusione nella pubblica opinione, aggiunge il professor Alberto Peruzzi, filosofo e professore ordinario di Teoria della conoscenza all’Università di Firenze. Al punto tale che gli esperti vanno a ricoprire ruoli che non sono loro propri. Diventano persone in cui “credere”. “Credere” può essere un verbo pericoloso quando viene usato nel dibattito pubblico. Perché ognuno può credere in qualcosa senza bisogno di relazionarsi con l’altro, sia esso il singolo o il pubblico, nel senso di sfera pubblica. Viene spontaneo pensare a un dio, nel quale si può credere o non credere.

C’è chi dice di credere anche alla scienza, ma pure in questo caso la parola è rischiosa, come avverte Peruzzi nel suo “Il valore della scienza”. Si crede semmai al metodo scientifico, che è un’altra cosa. “La libertà d’opinione – scrive il professor Peruzzi – non si declina affermando che ognuno ha la sua verità ma allenando a un serio confronto di ragioni nel corso del quale si presta attenzione ai fatti, vengono identificati i presupposti sui quali ciascuna opinione si fonda, ci si preoccupa di ragionare correttamente: proprio a questo allena una buona educazione scientifica, che può essere affiancata da attività che aiutino a coltivare l’intelligenza”. Io credo, dunque sono. Io credo, dunque ho una mia verità, una mia conoscenza. Sono il certificatore unico della realtà che mi riguarda e che mi circonda. Ma così lo spazio del pubblico scompare, a vantaggio del particolarismo. Non è verità quel che si cerca, dunque, ma conferma delle proprie credenze.

La scienza non aiuta a spiegare tutto, naturalmente. Come ha osservato il professor Ciardi, non fornisce grandi risposte alle grandi domande. E sarebbe sbagliato, forse, leggere tutto in chiave scientifica: la religione può essere razionale? La religione può essere oggetto di verifica scientifico-sperimentale? “Possiamo essere razionali anche in ambiti non scientifici”, ci dice Peruzzi. Perché in fondo, sottolinea Ciardi, quel che conta è il metodo. “Per capire la scienza non c’è bisogno di essere scienziati, perché la scienza è un approccio: si discute e si dialoga all’interno di un sistema di regole imperfetto. D’altronde persino la democrazia è imperfetta (anche se io preferisco avere scritto nei tribunali che la legge è uguale per tutti anziché il suo contrario) ma preziosa”. A proposito del rapporto fra scienza e democrazia, c’è un legame stretto, osserva Ciardi (e anche Peruzzi conviene): “La scienza ha contribuito a formare un pensiero democratico. Ti abitua a confrontarti con i dati di fatto, a rivedere le tue idee”. Nel dibattito pubblico – politico o scientifico – i dati possono essere utilizzati per manipolare e infatti bisogna stare attenti ai persuasori occulti, ci dice Peruzzi: “In questa maniera si arriva alla sudditanza psicologica; chi si affida senza riflessione e senza minima consapevolezza ai manipolatori è una vittima della comunicazione. E su questo altare sacrificale il numero delle vittime è enorme”. 

Ma la magia può aiutare la scienza?

La domanda viene dal sottotitolo di un libro di Ciardi, dal titolo “Galileo & Harry Potter” (Carocci). Risposta: “Se per magia si intende la fantasia, sì, certo; la scienza vive di immaginazione. Basta solo distinguere i piani”. Forse anche nei corsi di laurea di Scienze naturali, fisica, matematica, chimica, servirebbero qualche ora di letteratura. Ma anche qualche ora di filosofia. “Se vediamo come sono formati gli scienziati, capiamo che nella loro formazione non c’è un esame che li obblighi a riflettere sui metodi. Usano i metodi della scienza come un atleta usa i muscoli senza essere un fisiologo”, dice Peruzzi: “Per questo quando sento uno scienziato parlare di scienza mi accorgo che spesso parla della sua esperienza senza però essersi posto il problema di ragionare attorno al metodo scientifico”. In fondo la battaglia contro le pseudoscienze passa anche attraverso l’esercizio critico. Per questo la scienza ha bisogno (anche) della filosofia.

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