Una mietitrebbia a lavoro in un campo

Agricoltura ideale verso agricoltura reale

Come l’evoluzione della società moderna ha modificato la percezione delle pratiche agricole

In Inghilterra c’è la stazione agraria sperimentale di Rothamsted, molto seguita e idolatrata dagli addetti ai lavori perché i ricercatori che ci lavorano sono davvero in gamba e mettono su vari esperimenti, tutti utili: alla fine vengono pubblicati set di dati (open) di grande interesse.

Per esempio, a partire dal 1852 fino al 2016, sono stati coltivati, su vari campi, alcune varietà di frumento invernale. La particolarità, oltre alla lunghezza dell’esperimento, è questa: in un campo non sono stati utilizzati né concimi, né letame, né agrofarmaci, niente insomma.

Al contrario, negli altri campi, di volta in volta, sono stati introdotti sia concimi, sia agrofarmaci, sia diserbanti, nonché nuove cultivar, e sono state sperimentate varie tecniche, come alcune particolari rotazioni.

Quale migliore esempio, dunque, per capire cosa succede (e sicuramente succede, perché l’esperimento è durato più di un secolo) se non vengono forniti gli elementi che la pianta richiede, dunque un’agricoltura senza niente, così, nature.

Rese superiori sino a dieci volte

Nel primo campo sperimentale la resa del grano è rimasta invariata. Per 150 e passa anni, si è attestata intorno a una tonnellata per ettaro. Che poi è stata la resa media che abbiamo ottenuto per millenni, dagli albori dell’agricoltura fino a primi anni del Novecento. Ed è la stessa resa che si registra in alcuni Stati africani, lì dove c’è un’agricoltura molto povera.

I campi coltivati seguendo le innovazioni che nel tempo si presentavano, hanno invece toccato le 10 tonnellate per ettaro [un chilo di grano per metro quadro di terreno, nda]. Questo perché hanno beneficiato di varietà moderne, cioè migliorate grazie agli strumenti della genetica, e sono stati concimati con azoto, fosforo, potassio, nonché letamati, diserbati e protetti con fungicidi.

Due mondi a confronto

I risultati ottenuti a Rothamsted ci dicono molto: se lasciamo i campi a sé stessi produciamo poco e niente e retrocediamo nel passato, quello inquinato dalle guerre, insomma. Si torna cioè a quel mondo che ospitava a malapena un miliardo di persone, spesso mal nutrite e con aspettativa di vita intorno ai 35 anni per via dell’altissima mortalità infantile.

Se li coltiviamo con moderne tecniche agricole allora la storia del mondo cambia perché cambiano le rese: è l’agricoltura intensiva (bellezza!) il motore di questo mondo.

Agrofarmaci e fertilizzanti: l’importanza degli usi razionali

Bene, è chiaro che con la pancia piena poi scatta l’accusa di inquinamento: quanti concimi? Quanti agrofarmaci? Tuttavia – anche perché mi rendo conto che sto rischiando un processo – non sottovaluterei le critiche. Vogliamo tutti un mondo migliore. Cerchiamo di capire come. La verità? È tutto un problema di equilibrio, scartata l’ipotesi di coltivare non coltivando, è importante usare bene le tecniche e migliorarle sempre, affinché diventino meno impattanti.

Letame e concimi chimici a confronto

Un esempio per chiudere: analizzando le curve che indicano le rese di questo secolo e mezzo di coltivazione, si nota che i campi letamati hanno la stessa resa di quelli fertilizzati con composti di sintesi. In più si evidenzia un minore impatto ambientale.

Però, a bene vedere, non si tratta dunque di campi biologici veri e propri, ma di campi convenzionali dove è stato sì usato il letame, ma anche erbicidi e sono state seminate varietà migliorate geneticamente. In alcuni campi, poi, oltre al letame sono stati aggiunti 96 chili di azoto per ettaro (fertilizzante chimico dunque).

Quindi, sì, viva il letame (ad avercene però), ma non possiamo rinunciare a integrare la letamazione con concimi chimici e altre tecniche: questione di equilibrio, di volta in volta si cerca di spostare l’asticella della sostenibilità più in alto.

Il ruolo dei bovini

Ah, a proposito di letame (sempre ad avercene). Prendendo la quantità di letame utilizzata per l’esperimento inglese, 35 tonnellate per ettaro, per ogni ettaro dovremmo avere 3,5 bovini, ovvero i principali produttori di letame.

Poiché in Italia abbiamo 5,7 milioni di bovini e una SAU (Superficie Agricola Utilizzata) di 12,9 milioni di ettari, ciò significa che potremmo concimare, con sterco totalmente Made in Italy solo 1,9 milioni di ettari, ovvero più o meno il 15% della nostra superficie agricola. Guardate la complicazione: se volessimo togliere di mezzo o ridurre la carne perché impatta, chi li alleva i bovini?

Insomma, dal letame nascono fiori sì, vero, ma quanti? E quanto letame ci vuole? Sono i problemi reali che devono affrontare quelli che si occupano di agricoltura reale. Altri praticano o promuovono invece un’agricoltura ideale che vende bene in termini di marketing, ma produce poco in termini di grano.

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