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CRISPR: le nuove frontiere dell’editing genomico

Dalla medicina alla genetica, dall’agricoltura alla microbiologia: le applicazioni di Crispr, la tecnica taglia-incolla del Dna, sono possibili in tantissimi campi. Questa innovativa tecnologia è di grande interesse per il settore agroalimentare e potrebbe rappresentare una vera rivoluzione.

La tecnica CRISPR ha compiuto dieci anni quest’estate: tra la fine di giugno e l’agosto del 2012, infatti, la rivista Science pubblicava – prima online e poi su carta – l’articolo scientifico che avrebbe regalato il premio Nobel per la chimica 2020 alle due scienziate Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier. Più o meno nello stesso periodo, il 20 luglio di quest’anno, la comunità scientifica ha festeggiato il duecentesimo compleanno di Gregor Mendel, i cui esperimenti con i piselli hanno gettato le basi della genetica. Il momento è perfetto, dunque, per interrogarsi sul potenziale dell’innovazione genetica in agricoltura. A che punto siamo e cosa possiamo aspettarci, in particolare, dall’editing genomico in campo agroalimentare? 

Editare un genoma è un’operazione simile alla correzione dei refusi in un file di Word. Bisogna avere sotto gli occhi il testo, ovvero bisogna conoscere la successione delle lettere del DNA nella specie di interesse. E occorre disporre di uno strumento programmabile, in grado di scovare gli errori e correggerli, come la funzione trova-e-sostituisci di Word. CRISPR serve proprio a questo: il suo elemento chiave (la proteina Cas) è un enzima che può essere facilmente programmato per identificare una sequenza bersaglio e modificarla. Il tipo di modifica dipenderà da quale modello di CRISPR viene usato e da come è stato accessoriato. CRISPR si posiziona sulla sequenza come il cursore in un testo di Word. Se c’è un gene dannoso può silenziarlo, come se cancellasse una parola di troppo. Se c’è un refuso da sistemare, per far funzionare meglio un gene, può modificare la sequenza usando uno stampo o, nei modelli più avanzati, può sovrascrivere singole lettere del DNA. Se quello che si desidera è mantenere un gene così com’è, variando soltanto l’enfasi con cui viene letto, allora si può effettuare il cosiddetto editing “epigenetico” che assomiglia a una rifinitura editoriale con sottolineature, corsivi e grassetti.

Una finezza di intervento simile era inimmaginabile prima dell’invenzione di CRISPR. Per millenni i nostri antenati e le nostre antenate hanno modificato lentamente, ma inesorabilmente, le piante di interesse alimentare attraverso incrocio e selezione. Poi sono arrivate la mutagenesi indotta (potente ma imprecisa), l’ingegneria genetica (efficace ma controversa), la selezione assistita da marcatori (utile ma laboriosa). Finché CRISPR e le sue varianti (base editing, prime editing, CRISPRon/off e altre ancora) hanno aperto una nuova stagione. Il risultato del nuovo mix di versatilità e precisione è che non dobbiamo più aspettare che una mutazione fortunata si verifichi in modo causale. E non dobbiamo più limitarci a sperare di trovarla in natura come se fosse il proverbiale ago nel pagliaio. Possiamo acquistare il biglietto vincente alla lotteria dell’evoluzione naturale, inducendo un singolo cambiamento mirato del tutto simile a una mutazione spontanea. E possiamo operare correzioni più o meno estese senza che i prodotti finali contengano DNA estraneo. 

Quante nuove possibilità si aprono? Tante e su AgriScienza racconteremo i filoni più interessanti, dalla qualità nutrizionale alla sicurezza alimentare, dalla sostenibilità ambientale all’adattamento ai cambiamenti climatici, fino al recupero della biodiversità perduta.

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