Una donna acquista un casco di banane al mercato

I mille volti della banana

Origini, storia, usi e caratteristiche DI uno dei frutti più consumati e diffusi al mondo

Parlando della banana molti credono che sia solamente un frutto da dessert, mentre si tratta della quarta pianta alimentare in ordine di importanza globale dopo frumento, mais e riso, rientrando nell’alimentazione dei circa 500 milioni di persone. Come le altre piante sopracitate, la banana è una pianta simbolica, rituale, sacrale e cosmologica. Tutte le parti della pianta sono utilizzate, ovvero foglie, gemme, radici e persino la linfa.

La banana nella storia

Teofrasto, filosofo e botanico greco del IV sec. A.C., sarebbe stato il primo a lasciare una testimonianza storica del ruolo alimentare della banana. Anche Plinio Il Vecchio, scrittore, naturalista e filosofo romano del I sec. D.C., la descrive come “Cibo dei sapienti”, poiché frutto preferito dai savi orientali.

In tempi molto più recenti, alla fine del 1600, Padre Labat, religioso domenicano, fu il primo che descrisse la vita nelle isole caraibiche, inclusi gli usi che delle banane facevano gli abitanti. Nel XVIII sec. furono poi i francesi Denis Diderot, filosofo e scrittore francese, e Jean Baptiste Le Rond d’Alembert, matematico e astronomo, a descriverne addirittura le capacità medicamentose.

La banana piaceva a molti, ma non a tutti

Se Plinio il Vecchio esaltava le qualità gustative delle banane, dal punto di vista alimentare Alessandro il Grande proibì addirittura ai suoi soldati di mangiarne. Nonostante queste ritrosie iniziali, a partire dal XVI sec. la banana divenne il nutrimento di base per milioni di schiavi di colore impiegati nelle piantagioni di canna da zucchero.

A conferma, Antoine-Alexis Cadet de Vaux, chimico e agronomo francese vissuto a cavallo del 1800, narrava di come la banana potesse nutrire 50 persone, la patata 20, mentre il frumento solo 2. In più, aggiunse che 15 metri quadri di bananeto erano sufficienti per nutrire un messicano, mentre se questi si nutrisse di frumento ne occorrerebbero 120 per sfamarlo.

Infine, il navigatore francese Jean Baptiste Boussingault (1802-1887), che era anche chimico e agronomo, dedicò alla banana ben dieci pagine della sua opera più importante.

La banana come pianta rituale

La banana è citata nei sacri testi orientali nell’adattare la Bibbia alle culture non giudaico-cristiane. Insieme alla palma da datteri, la banana ha infatti sostituito la mela della Genesi e le sue foglie sarebbero servite a coprire le nudità dei primi Umani del Pianeta, tanto che gli spagnoli la chiamarono “fico d’Adamo”.

Inoltre, dai mussulmani la banana è considerata una pianta del paradiso, racchiudendo in sé molti significati simbolici. Per esempio, il banano simbolizza la famiglia e in particolare l’uomo che rigenera i suoi figli. Questa pianta è infatti stolonifera. È quindi simbolo di prosperità e fecondità femminile.

Nelle tradizioni mediorientali il banano e la palma simboleggiano infatti la donna e l’uomo, come pure la nascita e l’infanzia, ma anche la fragilità e la morte. Sacralizza inoltre le nuove famiglie: i giovani promessi sposi costruiscono infatti una capanna e un bananeto in contemporanea, prendendo giovani piante dal bananeto del padre dello sposo. Inoltre, gli anziani raccontano ai bambini favole e leggende con al centro il banano.

Origini, caratteristiche botanico-agronomiche e usi

Il banano, da molti considerato un albero, è in realtà una pianta erbacea appartenente alla famiglia botanica delle Musacee. Il suo fusto è infatti sotterraneo e ciò che si vede sopra il suolo sono solo delle foglie. All’inizio del proprio ciclo la pianta è costituita da 20-30 foglie, tutte originatesi dalla base del tronco sotterraneo. Giunte a questo stadio, le foglie arrestano la crescita e per effetto di una diversa produzione ormonale comincia a formarsi l’abbozzo dell’infiorescenza. È in questo momento che vi è, fuori terra, l’allungamento verso l’alto del falso tronco al cui interno cresce un lungo picciolo che porta in alto l’infiorescenza.

Questo falso tronco può arrivare mediamente intorno ai 6-8 metri di altezza, potendo talvolta superare tale dimensione, basando la propria stabilità sulla sola fibrosità delle foglie. Finalmente, terminato questo sviluppo verso l’alto, appare alla sommità il fiore, detto “regime”, che produrrà un casco di frutti. La raccolta del casco mette fine alla vita di questa pianta, la quale viene tagliata alla base. La produzione continuerà grazia ai ricacci di varie età che si sono formati partendo dalla medesima porzione sotterranea.

Solo nel XVI sec. la pianta cominciò a essere chiamata banano, parola probabilmente ricavata da dialetti africani, e con questo nome si affermò. Per i botanici sistematici che rispettano la denominazione binomia di Linneo vale però ancora il nome del genere, cioè “Musa”.

Una classificazione botanica complessa

Inoltrarsi nella classificazione della banana è opera assai complessa. Innanzitutto, il genoma “n” della banana è di soli 11 cromosomi (gli Esseri umani ne hanno 23) e la classificazione più semplice è quella che prevede due specie dalle quali sarebbero derivate tutte le altre: la Musa acuminata (genoma di tipo A) e la Musa balbisiana (genoma di tipo B).

Pertanto, la prima allo stato diploide avrà 22 cromosomi di tipo AA, mentre la seconda ancora 22 cromosomi di tipo BB, ma siccome sono interfeconde si può formare l’ibrido diploide AB, sempre con 22 cromosomi. Queste banane sono dotate di semi, ma dato che nella specie M. acuminata vi sono delle varietà diploidi partenocarpiche, nelle quali il frutto si sviluppa senza fecondazione, queste producono frutti senza semi.

Esistono in natura pure banane tetraploidi, ad esempio AABB con 44 cromosomi, che incrociandosi con le banane diploidi origineranno delle banane triploidi (AAB o ABB). Anche le varietà triploidi sono tutte senza semi e nel tempo sono state le prescelte per la coltivazione, unitamente alle banane partenocarpiche.

Il genere Musa, tuttavia, si divide in cinque sezioni, fra cui la sezione “Eumusa” da cui discendono la maggior parte delle banane coltivate a scopi alimentari. Se però vogliamo entrare in questo altro rompicapo possiamo citare qualche sotto-gruppo di banane da cui discendono le varietà più coltivate per usi specifici. Per esempio, si distinguono banane a uso dessert, con le varietà Pisang, Gros Michel, Cavendish, ma anche per produrre birra o per essere mangiate dopo cottura.

La “Malattia di Panama” e i gravi danni ai bananeti

Fino al 1960 sulle nostre tavole arrivava il frutto di un gruppo di varietà denominata Gros Michel, che però divenne suscettibile alla malattia cosiddetta di Panama anche a causa di colture spesso monovarietali, dotate cioè di una quasi nulla variabilità genetica. Il patogeno è un fungo oggi noto come Fusarium odoratissimum, precedentemente chiamato Fusarium oxysporum f.sp. cubense. Il suo ceppo TR4 attacca le banane ed è in grado di arrecare danni talvolta totalizzanti.

La varietà Gros Michel venne quindi progressivamente sostituita dalla Cavendish, o meglio dal gruppo omonimo che contiene la varietà Cavendish, ma anche la Grande nana, la Williams e la Poyo. La denominazione “Chiquita” è infatti solo un marchio commerciale ma non il nome di una varietà. Purtroppo, oggi anche la Cavendish è divenuta sensibile al ceppo TR4 di Fusarium e quindi sta subendo gravi danni dovuti a questo patogeno.

I molti usi delle banane

Banane da dessert: rappresentano il 60% della produzione mondiale (15 Mt/anno). Noi conosciamo quasi esclusivamente la banana da dessert cioè un frutto che consumiamo crudo e maturo. La banana da dessert è raccolta immatura, quando tutto lo zucchero è sotto la forma complessa di amido. Man mano che il frutto matura l’amido si trasforma in zuccheri più semplici pari al 19%. All’interno di questo 19%: il 20% è glucosio, il 15% è fruttosio, il 65% è saccarosio. Rimane circa un 1% di amido non idrolizzato. Il frutto apporta anche proteine, sali minerali, (potassio in particolare) e delle vitamine (A,B e C). La maturazione avviene in circa 11 giorni.

Banane Plantains: nei luoghi dove tradizionalmente vegeta, si usa invece il frutto della banana in modo diverso. Innanzitutto, è la fonte di amido a interessare, quindi le banane sono la base nutritiva dei popoli delle zone tropicali umide come per noi lo è il frumento. Sono definite banane “plantains” e non hanno subito una selezione particolare (solo massale) come l’hanno subita le banane da dessert, rispetto alle quali contengono più zuccheri. Queste banane si consumano nei luoghi di produzione, sia cotte immature sia crude, in tal caso mature. La banana immatura prima la si sbollenta per essere spellata e poi la si può cuocere per aggiungerla agli intingoli della carne o del pesce. Può essere inoltre mangiata anche fritta. La banana matura è spesso cotta parzialmente e fa da contorno alla carne di maiale o di pollo. Può, allo stato fresco, servire per contorni o guarniture. Sempre la banana matura può essere seccata al sole per poi farne farina per preparare prodotti da forno, oppure cotta per aggiungerla al pane. Con la banana si produce anche la birra dopo fermentazione, sfruttando gli zuccheri in essa contenuti. Infine, gli scarti di banana e le banane stesse costituiscono un alimento per gli animali di bassa corte. Questa categoria di usi rappresenta il restante 40% della produzione.

Banane da fibra: la fibra di banana è conosciuta come Manila o Canapa di Manila o Abaca. È una fibra lunga, biodegradabile, ricavata sezionando longitudinalmente il falso tronco. Si possono fare cordami simili ma più leggeri di quelli di canapa, risultando però meno pieghevoli. Può anche essere tessuta assieme al cotone e questi tessuti si asciugano molto più velocemente. Il tessuto ricavato dalla banana ha un potere di assorbimento rimarchevole e quindi può essere usata per filtrare.

Le origini dell’espressione “Repubblica delle Banane”

Repubblica delle banane è un’espressione dispregiativa del linguaggio politico e giornalistico che indica, metaforicamente, una piccola nazione, spesso latino-americana o caraibica, instabile dal punto di vista politico, governata da un’oligarchia ricca e corrotta, la cui economia dipende solo da un modesto settore spesso controllato da multinazionali.

L’espressione deve appunto le sue radici alla coltivazione delle banane. Infatti, nel 1870 la banana fu introdotto negli USA e immediatamente il frutto trovò l’accettazione da parte dei consumatori, la domanda crebbe talmente che se ne tentò la produzione negli Stati Uniti del sud. Tuttavia, la latitudine era troppo nordica e quindi commercianti di banane e avventurieri del nuovo business decisero di andare a produrre le banane nei climi tropicali della Mesoamerica per esportarle poi negli USA.

L’iniziativa permeò la vita socioeconomica degli Stati prescelti, come ad esempio Honduras e Guatemala, a tal punto da praticare espropri di terreni e da favorire la formazione di governi fantoccio corrotti e al soldo delle costituende società per lo sfruttamento delle banane. In questi paesi si creò una vera e propria integrazione capitalistica sia del bene fondiario, sia del trasporto marittimo delle banane, sia della loro commercializzazione.

Questo stato di cose si consolidò tra il 1870 e il 1900 e cominciò a venir meno solo a partire dagli anni 1950/60 quando queste strutture capitalistiche tralasciarono il possesso del bene fondiario terra e della produzione, ma mantennero e consolidarono il controllo del trasporto, della maturazione e della commercializzazione nei paesi consumatori. In altri termini tralasciarono le strutture a monte, ma ne mantennero il controllo tramite l’organizzazione a valle della filiera.

Tali strutture divennero nella prima metà del secolo scorso dei veri e propri Stati all’interno degli Stati dove si erano installati. Da qui, appunto, la dizione di “Repubbliche delle banane”. Basta leggere il romanzo di Marquez dal titolo “100 anni di solitudine” o quello di Asturias “Signor Presidente” per comprendere come queste Società subornassero i politici locali e finanziassero le invasioni armate per favorire colpi di stato.

Il commercio delle banane oggi

Attualmente le società che detengono il mercato mondiale sono cinque, di cui tre nordamericane:

  • La UFC (United Fruit Company) creata nel 1899 e che nel 1947 depositò il marchio “Chiquita” per la commercializzazione delle proprie banane.
  • La Standard Fruit Company nata nel 1926 che coniò il marchio “Dole”.
  • Del Monte, che si occupò di banane dopo aver ripreso la WIFC (West Indies Fruit Company).

Una quarta società è europea, ovvero la Fyffes, irlandese, che inizialmente trasportava le banane dalle Canarie. Infine la Naboa, società equadoregna di proprietà della famiglia omonima.

Le tre multinazionali americane arrivarono a controllare il 60/70% della produzione e commercio delle banane. Oggi le cinque società trasportano il 75% delle banane mondiali. Perfino l’Italia del Ventennio fascista si dotò di una organizzazione bananiera, appunto per sfruttare la produzione di banane creata nella colonia italiana in Somalia. Si era perfino dotata di una piccola flotta bananiera. 

Dato però che la produzione coloniale era poco competitiva si creò una struttura monopolistica tramite la Regia azienda monopolio banane (RAMB). Dopo la guerra l’Italia fu incaricata dall’ONU di occuparsi dell’A.F.I.S. (Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia) che rimase attiva tra il 1950 ed il 1960 La RAMB fu mantenuta in vita come Azienda Monopolio Banane (AMB) e, chi si ricorda quei tempi, sa che le banane per gli italiani era ancora un bene di lusso: nel 1955 una banana costava 50 lire che è pari a 1 € d’oggi. L’AMB terminò la sua attività a causa del cosiddetto “scandalo delle banane” del 1963, generato da fenomeni di corruzione nella concessione delle esclusive di commercio delle banane in Italia. 

Il trasporto delle banane: fase critica

Il trasporto è la fase più delicata, potendo incidere notevolmente sulla qualità dei frutti. Per tali ragioni ha subito nel tempo una profonda evoluzione, meglio coordinando la raccolta con il carico delle navi. La banana colta al punto giusto di “immaturità” deve essere imbarcata entro 24 ore dalla raccolta. Infatti, occorre assolutamente che il prodotto, quando arriva nel porto di commercializzazione, sia al punto giusto di maturazione: il poco maturo genera un prodotto scadente da un punto di vista organolettico, mentre il troppo maturo genera scarti nel carico.

L’evoluzione è stata quella di velocizzare il tragitto tra punto di raccolta e porto d’imbarco, come pure di velocizzare le navi bananiere e di migliorare i sistemi di ventilazione e refrigerazione delle stive.  Il tragitto terrestre nei luoghi di produzione fu agevolato tramite la costruzione di ferrovie, mentre il tragitto marittimo seguì l’evoluzione delle navi nei due secoli considerati. Si partì con le golette a vela: dalla Giamaica a Boston nel 1871 una goletta impiegava due settimane e trasportava circa solo 400 caschi.

Il passaggio dalle navi a vapore, con ruote a pale, a quello con elica comportò poi un aumento di velocità e soprattutto un aumento della capacità di stivaggio, in quanto si ebbe meno bisogno di carbone e ciò liberò parte della stiva.

Fu poi la volta delle navi con motori diesel che migliorò ulteriormente le prestazioni per l’accresciuta potenza di propulsione e migliorò ulteriormente le quantità di carico. Era infatti aumentata la velocità di navigazione che prima della Seconda Guerra mondiale era di soli 12/15 nodi (22-27 km/h), mentre dopo 30 anni si era già arrivati a 22 nodi (40 km/h).

Si ricorda inoltre che le navi bananiere sono bianche e che le possibilità di carico nel tempo sono decuplicate.

Il problema dell’etilene

La banana è frutto altamente climaterico, cioè continua la maturazione dopo la raccolta e maturando emette etilene. Questo, durante la fase di trasporto si accumula accelerando ulteriormente la maturazione dei frutti. Pertanto, in una stiva dove sono ammassati i caschi di banane, se l’etilene non viene asportato si arriva in porto con frutti in sovra-maturazione.   

Inizialmente si favoriva l’eliminazione dell’etilene con la ventilazione naturale delle stive. A partire da inizio novecento, però, le navi furono dotate di impianti frigoriferi perché anche le elevate temperature sono condizione sovra-maturante. Per refrigerare al meglio le banane, (12-14°C) si passò anche alla loro compartimentazione. I compartimenti divennero politermici e le navi evolsero verso carichi plurifrutto a causa dello sviluppo dei consumi di frutta esotica.

Ultimamente tutto viene regolato tramite computer. Infine, con l’evoluzione dei containers refrigerati il trasporto delle banane è stato rivoluzionato in quanto essi vengono utilizzati già a partire dal luogo di raccolta, nei trasporti ferroviari, in quelli marittimi e infine in quello terreste di distribuzione.

Dal bananeto al consumatore finale

Insomma, la commercializzazione delle banane è un’attività ad incastro tra raccolta, trasporto terrestre con vagoni frigoriferi che siano “pronto carico” una volta che le banane giungono in porto. L’organizzazione dello scarico viene poi coordinata dal grossista, il quale deve regolare la continuazione della maturazione in funzione dei tempi di distribuzione al dettagliante. Anche quest’ultimo deve essere poi educato a come presentare e vendere le banane.

Alla fine degli anni ‘60 venne quindi introdotto l’imballaggio di cartone che conteneva il casco completo. Successivamente il casco nel cartone fu immesso diviso in gruppi di 6/8 frutti, chiamati “dita” in gergo tecnico. Cioè quelli che vengono infine esposti nei punti vendita della distribuzione organizzata di alimenti.

 

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