La storia dello zucchero: dal paleolitico a oggi
Gli zuccheri semplici hanno accompagnato la vita dell’uomo cacciatore e raccoglitore sotto forma di carboidrati presenti nella frutta. Solo dopo molti millenni, lo zucchero venne prodotto e consumato tal quale
Una storia dolce dolce, potremmo dire. Infatti, gli zuccheri semplici sono presenti nell’alimentazione umana da sempre. Anche quando lo zucchero in quanto tale, il saccarosio, non esisteva, diversi zuccheri semplici addolcivano i frutti che le tribù preistoriche mangiavano quando ancora operavano in veste di cacciatori/raccoglitori. Cioè più di 10mila anni or sono. Dopodiché, seppur lentamente, iniziarono le prime, rudimentali pratiche agricole e di allevamento. Prima di ciò, gli esseri umani raccoglievano bacche zuccherine e miele, cibandosi però in buona parte di carne.
Nel Neolitico (fra 9.000 e 3.000 anni or sono) muta il regime alimentare, infatti compaiono in modo significativo le carie dentali, incidendo, si stima, su circa un 10% della popolazione. Non che le carie fossero però assenti in passato: nel sito marocchino di Taforalt sono stati rinvenuti scheletri paleolitici, risalenti a 15.000 anni fa, la cui metà mostrava segni di carie. Quindi, tale afflizione dentale viene sopportata dall’uomo da ben prima che questi fosse capace di produrre zucchero in senso stretto.
L’epopea dello zucchero
La storia dello zucchero per come lo conosciamo oggi inizia circa 4.000 anni fa, partendo da alimento regale o celeste, a medicamento, divenendo poi nei secoli un alimento prezioso in quanto calorico. Infine, ai nostri giorni consumistici, lo zucchero è divenuto sostanza voluttuaria a cui sono stati imputati gravi danni alla salute. Del resto, il sapore dolce determina sull’uomo, da sempre, un’attrazione istintiva. Il neonato accetta subito il dolce e rifiuta l’acido e l’amaro. Lo zucchero, quindi, e le sue fonti d’approvvigionamento si sono intersecate spesso con la storia dell’uomo.
La prima forma di produzione dello zucchero risale circa al terzo millennio a. C., quando le attenzioni umane caddero su una pianta tropicale: la canna, chiamata poi da zucchero. L’origine di questa parola ne conferma la provenienza orientale, con la parola sanscrita “sarkara” che nelle lingue indoeuropee ha fatto da radice a tutte le versioni del vocabolo “zucchero”. Alessandro Magno nel 325 a.C. riportava infatti di “Aver visto una pianta dare miele senza la presenza delle api”.
Lo zucchero conquistò prima i Greci e poi i Romani, mentre dal III al VII secolo d.C. le coltivazioni si erano ormai installate nel bacino del Tigri e dell’Eufrate, ove i Persiani ne migliorarono le tecniche di estrazione. Furono infine i Crociati a far conoscere e apprezzare alle corti regnanti del Nord dell’Europa lo zucchero che si produceva in Palestina ed in Siria. Commercio di cui si interessò subito la Repubblica di Venezia, la quale ne monopolizzò presto i traffici.
Lo zucchero, tuttavia, non era ancora una derrata, ma una leccornia esotica riservata ai sovrani e alle corti nobili del tempo, prevalendo ancora l’aspetto medicamentoso dello zucchero, la cui vendita restò infatti confinata per molto tempo nelle sole farmacie.
La coltivazione passa Oltreoceano
La Spagna ed il Portogallo, all’inizio del 1400, per affrancarsi dallo zucchero d’oriente, trasferirono la coltivazione nei loro possedimenti africani e sulle isole dell’Atlantico: Madera, Capo Verde e Canarie. Comincia così la fine del monopolio di Venezia nella raffinazione e inizia quello di Lisbona. Nel suo secondo viaggio Colombo portò la canna in America dove, dalle Antille, nel corso del XVI e del XVII secolo si espanse in America Centrale e meridionale.
L’espansione fu tale che l’Europa non ricevette più lo zucchero da Sud-Est, ormai in mano ottomana, bensì dall’Ovest.
Lo sviluppo delle piantagioni di canna nel Nuovo Mondo aveva però bisogno di molta manodopera a basso costo, ormai introvabile in quelle terre: fu questa una delle cause del trasferimento forzato di popolazioni africane nelle zone tropicali delle Americhe. La tratta degli schiavi e del lavoro in schiavitù diede inizio ad una triangolazione commerciale infernale: navi cariche d’armi, stoffe, alcool e cianfrusaglie varie, approdavano nei porti africani dell’Oceano Atlantico e Indiano, scambiavano questa merce con schiavi africani catturati dagli arabi o da altre tribù nemiche, li trasportavano in America e ritornavano in patria cariche di zucchero, unitamente a caffè, cacao, tabacco e cotone.
In Europa, nel XVIII secolo, fu la Francia a organizzare meglio il commercio dello zucchero prodotto nelle sue colonie delle Antille e in Louisiana e che più si attrezzò per raffinarlo nei suoi porti metropolitani dell’Atlantico. Essa assunse così la posizione di maggior fornitore d’Europa, divenendo nel frattempo anche la più grande consumatrice di zucchero grazie al notevole aumento del consumo di bevande esotiche da dolcificare, quali caffè e cioccolata, a cui si era aggiunta l’altra bevanda di più tipico uso anglosassone: il the.
L’Inghilterra approfittò poi della Rivoluzione Francese e dei conseguenti sconvolgimenti socio-politici per togliere alla Francia questo quasi-monopolio. Prima impedì il flusso regolare di zucchero greggio dalle colonie francesi alle raffinerie metropolitane e poi si sostituì ad essa con il prodotto delle proprie colonie e con il controllo del trasporto.
Quale reazione, con la conquista dell’Europa continentale da parte di Napoleone e con il blocco continentale da lui decretato nel 1806 per colpire i commerci della temibile rivale, tutti i porti del continente furono interdetti alle navi inglesi. Tra le tante merci che vennero a mancare nel Vecchio Continente per tale guerra commerciale vi furono quindi lo zucchero e il caffè. Mentre però per il caffè si ricorse ai surrogati, per lo zucchero bisognava inventare una produzione indigena.
L’avvento della barbabietola da zucchero
Nel mezzo secolo precedente, Federico il Grande di Prussia aveva cercato di evitare un salasso di valuta pregiata (la Prussia non aveva colonie), cercando di produrre zucchero da piante che crescevano in Europa. La scelta era caduta su una radice che conteneva succhi zuccherini, seppure di scarsa intensità. Era consumata di più come ortaggio o per l’alimentazione animale Questa pianta era la barbabietola, originaria del bacino del Mediterraneo.
Napoleone, che appunto aveva lasciato l’Europa continentale senza zucchero, riprese con vigore questa ricerca, dando notevole impulso alla coltivazione e all’estrazione dello zucchero dalla barbabietola che fece coltivare in Francia. In pochi decenni, grazie allo sforzo selettivo praticato dagli agronomi del tempo, il contenuto in zucchero nelle radici passò dal 5 al 15%. Possiamo affermare che, in mezzo secolo, era nata una nuova pianta, prima sconosciuta e creata appositamente dall’uomo. Fu la nascita della prima agroindustria.
Nel corso di un solo secolo, il XIX, lo zucchero da bietola sopravanzò quello di canna. I motivi sono facilmente intuibili se si pensa che i consumi maggiori erano in Europa e che in America era finita la schiavitù e lo zucchero di canna ivi prodotto divenne notevolmente più caro. Tuttavia, esso avrebbe in ogni caso vinto ancora la concorrenza con quello di bietola se quest’ultimo non fosse stato protetto (e la cosa continua ancora) con ogni mezzo. La coltura si espanse poi verso Est, dove trovò ambienti favorevoli in Germania, Polonia e nell’Impero Austro-Ungarico.
Lo zucchero in Italia
In Italia le cose andarono più lentamente sia per la situazione socio-politica del XIX secolo, sia per le obiettive difficoltà pedoclimatiche. Si dovette attendere, infatti, il 1875 per vedere sorgere un’industria bieticolo-saccarifera nazionale stabile. Essa si localizzò nell’Italia centrale e solamente tra il 1890 ed il 1910 si consolidò nel Nord dell’Italia.
Dopo una fase di contrazione, dovuta al conflitto ‘14-’18, il dopoguerra segnò la rinascita e il nuovo sviluppo dell’industria saccarifera europea e italiana in particolare. Le esigenze autarchiche del Fascismo ridiedero nuovo impulso all’industria dello zucchero italiano e lo zucchero per i governi rappresentò una fonte d’introiti grazie all’applicazione di dazi e imposte di fabbricazione. Inoltre, la pianta era congruente con la politica di bonifica idraulica e di recupero di terre coltivabili intrapresa dal Regime.
Rimase però immutata, e ancora attuale, la marginalità produttiva della coltivazione della bietola in Italia rispetto ai paesi del Nord-Europa. La causa sta nel nostro clima troppo mediterraneo e alla pedologia dei nostri terreni che impone un ciclo troppo breve alla pianta.
Infine, la tendenza alla liberalizzazione dei commerci investì in particolar modo lo zucchero italiano, in quanto lo zucchero è un bene tipico di molti altri Paesi, dove l’estrazione dalla canna è esclusiva. Pertanto, lo zucchero ivi prodotto ha potuto entrare più liberamente in Europa e mettere in crisi le filiere saccarifere più marginali. E quella italiana era una di queste. Infatti, nel 2006 la filiera saccarifera nazionale fu praticamente smantellata, rimanendo solo alcune aree specifiche di coltivazione a cavallo fra Emilia-Romagna e Veneto, tali da giustificare la presenza in loco di zuccherifici.