L’editing vegetale per la ricattura dell’anidride carbonica
Per contrastare l’accumulo di gas serra nell’atmosfera, i genetisti lavorano al potenziamento della capacità di cattura di alcune coltivazioni
Ridurre drasticamente le emissioni di gas serra è indispensabile, ma non basta. Per contenere l’impatto della crisi climatica bisognerà anche ripulire l’atmosfera, almeno parzialmente, dall’anidride carbonica emessa. La prima buona notizia è che le piante fanno questo per natura, attraverso la fotosintesi: usano l’energia solare per fissare la CO2 producendo zuccheri. La seconda è che è stato avviato un ambizioso programma scientifico finalizzato a potenziare, con l’aiuto dell’editing genomico, sia la capacità di cattura che di immagazzinamento della CO2 in alcune specie di interesse agrario, a cominciare da sorgo e riso.
Questa ricerca di frontiera ha il suo baricentro presso l’IGI, l’Istituto per la Genomica Innovativa fondato da Jennifer Doudna, premio Nobel e co-inventrice della tecnica CRISPR, e coinvolge il Lawrence Livermore National Laboratory oltre a gruppi dell’Università della California a Berkeley e a Davis. Per avviare la sfida i ricercatori possono contare su undici milioni di dollari stanziati dall’organizzazione filantropica di Mark Zuckerberg e di sua moglie Priscilla Chan.
L’iniziativa è stata annunciata nel giugno 2022, ma poggia le basi su filoni di ricerca che erano già in corso all’IGI e hanno già prodotto le prime pubblicazioni, come ci ha spiegato il direttore della comunicazione Andy Murdock. Tra questi lavori ce ne sono alcuni che mirano a rendere la fotosintesi più efficiente, in modo da rimuovere più anidride carbonica (si veda ad esempio lo studio di David Savage sull’enzima Rubisco e quello di Kris Niyogi sui tempi della fotoprotezione). La cattura però rischia di servire a poco, se la CO2 è destinata a tornare rapidamente in atmosfera. Un passo avanti per favorirne l’immagazzinamento sottoterra è il lavoro di Peggy Lemaux, che ha affinato le tecniche necessarie per editare geneticamente il sorgo. L’obiettivo è decifrare le caratteristiche genetiche delle sue profonde radici, svilupparne varietà potenziate e poi ispirare analoghi miglioramenti in altre piante coltivate su larga scala.
C’è poi una terza area di ricerca, ancora più pionieristica, che riguarda l’ultima tappa del viaggio del carbonio dalle foglie, alle radici fin dentro al terreno. Intervenendo sui microrganismi del suolo perché incorporino il carbonio in aggregati stabili, infatti, si spera di allungare la durata dell’immagazzinamento sull’arco dei decenni. In questo settore nascente eccelle Jill Banfield, ideatrice di un sistema per l’editing delle comunità microbiche.
Un altro progetto per la ricattura, la Harnessing Plants Initiative, è stato avviato sempre in California, al Salk Institute, con 30 milioni stanziati da un altro magnate, Jeff Bezos. In cosa si differenziano i due approcci? “Il lavoro dell’IGI e quello del Salk sono complementari; infatti, la nostra Pamela Ronald contribuisce anche al loro programma per aumentare l’immagazzinamento sotterraneo nelle masse radicali”, spiega Murdock. L’approccio finanziato dai coniugi Zuckerberg però è di più ampio respiro: “Cerchiamo di ottimizzare la fotosintesi per accrescere la biomassa aerea, di migliorare l’architettura radicale e gli essudati nel suolo, e poi di lavorare con i microbiomi per un effetto di lungo termine”.
Ristabilire il carbonio del suolo, dopo che è stato consumato dall’agricoltura intensiva, potrebbe portare anche altri benefici per l’ecologia del terreno. Le stesse piante, ovviamente, dovranno soddisfare le necessità di agricoltori e consumatori, se si vuole che siano adottate. La sfida è enorme e gran parte delle correzioni genetiche che appariranno promettenti in laboratorio e in serra, probabilmente, deluderanno le attese nelle prove in campo. Ma a differenza che nel passato ora disponiamo di tecniche come CRISPR che consentono di testare innumerevoli idee in combinazioni diverse finché non se ne troverà qualcuna in grado di reggere la complessità del mondo reale. Ronald, per esempio, ha intenzione di passare in rassegna migliaia di mutanti di riso alla ricerca di tratti radicali benefici.
L’agricoltura contribuisce pesantemente ai cambiamenti climatici con le sue emissioni, riuscirà a diventare parte della soluzione al problema? Secondo i ricercatori, in gioco ci sono oltre un miliardo di tonnellate di CO2 ricatturabili con l’aiuto dell’editing, ma a sviluppare bene i calcoli dovrà pensarci il Lawrence Livermore National Laboratory. Quel che conta, comunque, è che climatologi e genetisti vegetali stiano iniziando a collaborare. “L’idea di usare l’editing genomico per la cattura del carbonio è piuttosto nuova e ha cominciato ad attirare l’attenzione solo recentemente”, premette Murdock. Ma il dialogo tra discipline che sono solo apparentemente lontane è partito. “Gli scienziati del clima sono interessati a tutti gli strumenti che possono aiutare la lotta alla crisi climatica e siamo incoraggiati dall’interesse che abbiamo ricevuto in così poco tempo”. Se n’è parlato anche all’ultimo summit internazionale sul clima, la COP27 che si è tenuta in Egitto nel novembre 2022, nel contesto delle iniziative che hanno coinvolto l’Agriculture Innovation Mission for Climate, l’alleanza nata per promuovere l’agricoltura “climate smart”.